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Attualità

CHIAMATA

EDOARDO ZIN - 17/04/2020

ueTutti coloro che oggi lanciano strali contro l’Europa dovrebbero comprendere che “questa” Europa è l’Europa voluta dai governi nazionali, espressioni di altrettanti parlamenti votati democraticamente dai cittadini. Non è, purtroppo, l’Europa dei padri fondatori, fondata sulla “solidarietà di fatto”, valore recepito anche dal Trattato di Lisbona. L’Europa che questi governi vogliono non è una federazione di stati, ma di ”esecutivi”, è un’unione di stati basata non su valori politici e culturali espressi, ribaditi, rielaborati ma solo unificati da un mercato comune, dalla libera circolazione di persone, merci e capitali e, solo per alcuni, da una moneta unica.

Che cosa poteva fare questa Europa in questo frangente della storia?

Sul piano dei soccorsi sanitari poco o niente perché la competenza della protezione della salute spetta ai singoli stati che non hanno voluto cedere all’UE giurisdizione su tale materia. Primo insegnamento da trarre: in un mondo globalizzato e interconnesso come l’attuale è inattuale combattere nemici comuni (oggi è un virus, ieri era il terrorismo, poi la crisi economica mondiale, domani potrebbe essere un attacco militare) senza essere coesi, fortemente uniti.

Sul piano economico, questa Europa, viceversa, può fare molto perché i trattati prevedono in economia e finanza competenze “esclusive” dell’Unione su cui essa, ed essa solo, può legiferare, sempre che il Consiglio Europeo, formato dai capi di stato o di governo di tutti i paesi membri, approvi i provvedimenti all’unanimità.

Sarà bene fare, in estrema sintesi, una cronistoria degli eventi registrati dal 2008, quando, in seguito al fallimento di una banca d’affari statunitense, si verificò una grave crisi finanziaria planetaria.

In seguito a questa crisi finanziaria, il Consiglio Europeo decise di riformare le regole di bilancio con un nuovo trattato di stabilità (il “fiscal compact o patto di stabilità) e con un trattato che creava il meccanismo europeo di stabilità (Mes) condotto a termine dal governo Berlusconi e ratificato, emendato dal parlamento su proposta del governo in carica Monti il 9.12.2011. L’Italia partecipò a questo “fondo salva stati” con una dotazione di 14 miliardi. Il patto di stabilità sanciva che non si poteva superare il rapporto PIL/deficit di ogni stato più del 3%. Prima dell’epidemia, l’Italia si era impegnata a rispettare il rapporto a 2,2%: alla fine del 2019 esso risultò essere dell’1,6, grazie all’impegno del governo guidato da Giuseppe Conte, pur restando il debito pubblico superiore ai 2.400 miliardi, pari al 134,8% del Pil.

Scoppiata l’epidemia, il patto di stabilità fu subito sospeso e all’Italia fu concesso subito un primo aiuto di 25 miliardi, che non sarebbero bastati perché la pandemia avrebbe creato effetti economici disastrosi e globali e avrebbe potuto far saltare l’euro che ha il grande difetto di avere una banca centrale, ma senza un bilancio comune ed un governo federale.

Il 7 aprile si riunirono i ministri dell’economia per decidere un piano più ampio degli aiuti, ma non si arrivò a nulla di fatto e le decisioni furono rinviate ad una successiva riunione. Nel frattempo, all’interno dell’eurogruppo si formarono due compagini: i paesi del nord si unirono alla presidente della Commissione nel dichiarare che la strada degli “eurobond” (cioè all’emissione di titoli di debito garantiti dall’Europa), non era percorribile, così come desideravano nove paesi, ma non i Paesi Bassi che insistevano nel far ricorso al Mes.

Sullo strumento di debito comune emesso da un’istituzione dell’Ue per raccogliere risorse a beneficio di tutti gli stati membri, e che si facevano garanti del rimborso a lungo termine dei titoli, si aprì una controversia che arrivò ad assumere il carattere di una vera diatriba: incominciò la presidente della Bce Lagarde che, con un’improvvida sua dichiarazione, scompigliò i mercati di mezzo mondo dichiarando che “non era stata nominata per ridurre lo spread,” continuò la presidente Van der Leyen, ma fu costretta a rinnegare la sua predilezione per gli eurobond, l’olandese Hoerkstra arrivò al punto di conoscere le ragioni per le quali i paesi colpiti dal corona virus non potevano rispondere alla pandemia con risorse proprie, al che il portoghese Costa bocciava come “ripugnante” la richiesta olandese, a esso si unì il premier spagnolo. Voce significativa fuori del coro – occorre dirlo – fu quella del governatore della banca centrale olandese che affermava che il suo governo sbagliava a porre il vero su ogni forma di autentica solidarietà.

Intanto la stampa e l’opinione pubblica dei paesi favorevoli agli “eurobond” attaccavano violentemente l’Olanda colpevole di essere un “paradiso fiscale”, ma l’accusa, fortemente riprovevole sul piano morale, è legittima sul piano giuridico perché il Trattato Europeo non prevede una fiscalità comune, in quanto non c’è un bilancio comune. Nell’Ue ci sono altri Paesi, come il Lussemburgo e l’Irlanda, che applicano regimi fiscali concorrenziali a quelli degli altri paesi.

Nella successiva riunione dell’eurogruppo, preparatoria del Consiglio europeo del 23 aprile, si lasciarono aperte diverse opzioni sul modo con cui concorrere ad un aiuto comune. Fu ribadito la sospensione del patto di stabilità (che significa che l’Italia può spendere quanto vuole!) si trovò l’accordo da sottoporre al Consiglio europeo del 23 aprile basato su cinque punti: il prestito a basso costo della Banca europea degli investimenti di 200 miliardi a favore delle piccole e medie imprese, l’istituzione di un fondo europeo Sue di 100 miliardi, la creazione di un fondo di solidarietà con l’emissione comune di titoli per incrementare la cassa d’integrazione per i lavoratori, un’altra concessione di 240 miliardi ricavata dal meccanismo europeo di stabilità, la possibilità della creazione di “coronabond”. Totale: 540 miliardi che vanno a sommarsi ai 240 miliardi della Bce e a un secondo aiuto di 750 miliardi per un totale di 1530 miliardi.

L’eurogruppo pone condizioni stringenti per accedere al Mes, tra cui l’obbligo di usare i finanziamenti solo per l’emergenza e, immancabile ciliegina sulla torta, l’invito all’Italia di procedere a riforme strutturali.

L’opposizione (Meloni e Salvini) contesta duramente ciò che ritiene un cedimento del governo Conte di fronte ai paesi rigoristi sulla questione del Mes.

A me sembra che l’Europa abbia dato un forte segnale di solidarietà, ma elemento essenziale del concetto di solidarietà è la fiducia: come possono i nostri compagni di viaggio concedercela se al governo già debole si aggiunge un paese lacerato dalle diatribe ideologiche? E come faranno gli altri paesi concederci fiducia se questa è cosparsa di bugie? Vedremo che cosa succederà al prossimo Consiglio europeo del 23 aprile

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