Per l’Italia è una prova del fuoco. L’emergenza sanitaria della lotta al coronavirus sta richiedendo un enorme sforzo alle strutture sanitarie e soprattutto a medici, infermieri e assistenti che vi sono direttamente impegnati. E insieme vi è la ricaduta economica e sociale di scelte che hanno, doverosamente, bloccato il paese, chiuso le aziende, costretto le persone ad una forzata prigionia domestica.
L’impatto di tutto questo sarà inevitabilmente pesante in termini di recessione economica, di perdita (almeno si spera momentanea) di posti di lavoro, di mancati guadagni e quindi di consumi. Per ridurre al minimo queste difficoltà tutti i paesi hanno varato misure di sostegno al reddito con aiuti diretti ai lavoratori e con interventi per garantire alle imprese la liquidità necessaria a superare la fase di emergenza. E giustamente si è guardato all’Europa per far scattare quei meccanismi di solidarietà che sono stati e sono alla base del patto da cui è nata l’Unione europea.
Anche l’Italia si è mossa su questi due fronti. Ma è subito inciampata su sé stessa nell’eterna consuetudine di farsi del male da sola.
Gli interventi di aiuto finanziario sono stati varati con sufficiente tempestività, ma si sono subito arenati di fronte alle sabbie mobili della burocrazia. Il decreto, enfaticamente chiamato “cura Italia”, è stato scritto e approvato secondo la tradizionale logica degli interventi pubblici: per il timore che i destinatari dei benefici ne approfittino senza averne diritto si sono messe tutta una serie di adempimenti, procedure, certificazioni e ostacoli che rischiano di vanificare ogni intervento. Nella logica dei cartelli che dominano nei bar di paese: “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. Ogni cittadino è visto così come un potenziale approfittatore. E invece, soprattutto in un momento come questo, sarebbe necessario non solo semplificare procedure, ma soprattutto dare fiducia salvo poi punire anche pesantemente chi se ne approfitta. Significativo il caso del bonus per le partite Iva: quasi 500mila domande da rifare per un cavillo burocratico, cioè per il fatto che nella versione definitiva del decreto sono state aggiunte le tre parole “in via esclusiva”. E invece di consentire di ritirare la domanda a quanti non avessero più diritto al sussidio, si è preferito azzerare tutti e costringere a ridisegnare moduli e a ricompilare domande con un forte allungamento dei tempi.
Ma oltre al virus della burocrazia l’Italia ha dovuto fare i conti con un’altra malattia che tutti speravano accantonata in questo periodo di grande emergenza: la campagna elettorale permanente. Gli enormi contraccolpi economici e sociali sono infatti tali da richiedere un’azione politica il più possibile condivisa. E invece no. Divisioni nella maggioranza e opposizione pronta a polemizzare. In particolare sul tema estremamente importante dell’Europa.
Il Governo italiano ha giustamente proposto che la Commissione europea emettesse in proprio dei titoli di Stato, garantendone la sicurezza e la solvibilità. Si dovrebbero chiamare eurobond e potrebbero garantire un’ampia raccolta di fondi dato che potrebbero essere acquistati a livello internazionale, anche dalla Cina o dalla Svizzera. Un’operazione non facile, anche dal profilo strettamente finanziario, e che è sempre stata vista con perplessità dai paesi del Nord che temono che strumenti di questo tipo possano diventare un cavallo di Troia per far pagare ad altri le spese di qualche paese “spendaccione”.
Al di là dei bond europei l’Europa ha comunque messo in campo misure significative. Innanzitutto la Banca centrale ha sostenuto i mercati finanziari e le emissioni dei titoli di Stato, così come la Commissione ha sospeso i vincoli del Patto di stabilità. Molto si dovrebbe ancora fare: mai come ora è evidente che l’uscita dalla crisi potrà essere meno difficile per tutti se prevarrà la solidarietà e la coesione.
Dimenticando questo in Italia è scoppiata la polemica sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, un’istituzione nata nel 2012 (e approvata dal Governo di centro-destra allora al potere) per aiutare i paesi in difficoltà non senza prima aver ottenuto forti garanzie sull’uso dei fondi e sulle politiche necessarie a superare i problemi. Il mondo nel frattempo è cambiato e nella riunione dei ministri finanziari prima di Pasqua il Mes è stato modificato, creando una linea di credito senza condizioni per le spese sanitarie. È chiaro che se le spese sanitarie possono venire almeno in parte coperte si liberano risorse che si possono investire in altri settori e nel sostegno all’occupazione.
Ma solo a sentir parlare di Mes non solo all’opposizione, ma anche tra i 5 Stelle, scattano sentimenti di ostilità e non sono mancate pesanti e immotivate polemiche antieuropee, come se l’Europa fosse un problema e non, almeno in parte, la soluzione.
È così passato in secondo piano il fatto che sia stata approvata la proposta francese, sostenuta anche dall’Italia, di creare un fondo da 500 miliardi per la ricostruzione europea per aiutare gli Stati membri, un fondo finanziato con obbligazioni comuni, quindi qualcosa di molto simile agli eurobond.
Con la differenza che gli eurobond dovrebbero essere emessi dalla Commissione europea per finanziare programmi gestiti dalla stessa Commissione. Questo fondo, nell’ambito di un’istituzione già esistente coma la Banca europea degli investimenti, emetterebbe invece obbligazioni per fare prestiti agli Stati. È questa una partita decisiva per il nostro paese.
Ma le polemiche strumentali in quella che è tornata ad essere una campagna elettorale permanente mettono sicuramente l’Italia in difficoltà nel portare avanti le proprie richieste. È la politica del tanto peggio tanto meglio, ancora più negativa in un momento di grande difficoltà come l’attuale.
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