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Respingo la stravagante idea che circola di commissariare la Sanità lombarda. Chi e come dovrebbe farlo? Demagogia allo stato puro che non porta da nessuna parte. Ma è necessaria la chiarezza su funzioni e responsabilità. Stabilito che la riduzione dei finanziamenti della sanità risale ai governi centrali, due sono le cause del disastro del corona virus in Lombardia.
La prima causa è strutturale, nota da lunghissimo tempo. È l’esito di una riforma sbagliata dei tempi di Formigoni, ritoccata da Maroni nel 2015 e rimasta finora inalterata con Fontana. Una linea denunciata come un abbaglio dall’opposizione fin dall’inizio, ma appoggiata da gran parte della classe medica: troppo privato con aiuto pubblico, sottovalutazione dei presidi sul territorio, della prevenzione e della medicina di base. Quel che si diceva, e si dice, sistema ospedalocentrico che va ripensato e cambiato.
La seconda causa concerne, in una situazione imprevedibile ed estremamente difficile, i ritardi, gli errori, le manchevolezze della risposta della Regione nell’ultimo mese e mezzo. Vero che l’epidemia ha colpito più fortemente e per prima la Lombardia, e questo ha determinato l’effetto sorpresa di cui è stato vittima, per la verità, anche il governo centrale, ma ciò non spiega quanto di negativo si è oggettivamente verificato in seguito.
L’incertezza e la confusione (quanto inevitabili?) delle direttive regionali è l’impressione che si ricava leggendo atti e protocolli. Il contagio era evidente già negli ultimi giorni di febbraio ma la prima delibera organica è del 23 marzo. Perché questo lasso temporale interminabile durante una fulminante emergenza e perché tanto tempo prima di coinvolgere gli ospedali privati?
La delibera dell’otto marzo chiedeva alle RSA di liberare quanti più posti possibile per mandarci i dimessi dagli ospedali e i pazienti positivi più “leggeri” creando una situazione esplosiva ritenuta subito tale da molti esperti. Come valutare questa delibera senza il facile senno di poi? E perché soltanto il 4 marzo era stato vietato l’ingresso nelle case di riposo di tutti i parenti degli ospiti?
Alcuni esperti autorevoli, fra cui Il professor Palù consulente della Regione Veneto, hanno segnalato l’avventato trasferimento dei pazienti meno gravi di Covid-19 negli ospedali lombardi mentre potevano e dovevano essere isolati e curati da altri presidi sul territorio che però non c’erano per la carenza più che decennale di questi presidi.
Non sarebbe stato meglio mandare questi pazienti in altri posti da attrezzare rapidamente invece di costruire l’ospedale per terapia intensiva alla ex Fiera di Milano che è tutt’ora semi vuoto e appare sempre di più come un’operazione “immagine” difficile da giustificare sotto il profilo costi-benefici?
I tamponi e gli altri dispositivi personali non erano nemmeno previsti per il personale sanitario e per le persone che erano state a continuo contatto con i malati e perfino con i defunti: come mai in una Regione ricca come la Lombardia? Un mistero poi la mancata chiusura di Alzano e Nembro nel bergamasco come era stato fatto a Codogno e in altre zone fuori dalla Lombardia.
Su questi punti, dubbi e domande, i lombardi hanno bisogno di capire bene cosa è successo e cosa si farà per rimediare rapidamente agli errori, soprattutto nel caso, Dio non voglia, di una epidemia di ritorno in autunno. Da questo punto di vista le conferenze stampa serali dell’Assessore Gallera e di altri assessori regionali sono ormai uno spettacolo di propaganda vuota e insopportabile.
Chi innalza la bandiera dell’autonomia regionale non può nascondersi quando conviene dietro il paravento del governo centrale per mascherare le proprie inadempienze.
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