La parola giusta è frastornato. Un Paese distolto dalla normalità, immerso nella confusione, depresso causa quarantene in serie, allibito di fronte al male e al cospetto delle malefatte. Il male, ovvero un morbo sconosciuto, al di là di tanta sapienteria d’analisi, con tizio a contraddire caio nelle show-comparsate. Le malefatte, ovvero le condizioni in cui ci siamo fatti trovare dall’attacco del virus. Meglio: ci hanno fatti trovare. Chi?
Primo: la classe politica attuale, recente e del passato prossimo, incapace d’essere realistica, moderna, efficiente. Non solo nella sanità. Basti riflettere sulle infrastrutture, conciate peggio delle difese immunitarie. E finiamola qui. Secondo: i cittadini. Eh sì, i cittadini. Ce n’è gran parte di ligi alle regole, riguardosi degli altri come di sé stessi, provvisti di saggezza, etica, civismo. Ma ce ne n’è una diversa e non marginale quota composta di menefreghisti, violatori delle leggi, pronti all’inganno piccino e al maxiraggiro. Se la quota/parte 2 si fosse sempre comportata come la 1, vivremmo in un diverso Paese, socialmente più sano, fisicamente meno aggredibile dalle malattie. Pensiamo solo all’evasione fiscale: in sua assenza, sarebbero presenti un’inedita (per noi) architettura di Stato, un diverso carnet dei servizi, una differente qualità della vita media. Invece non va a questo modo. Va che per sotterfugi, furbizie, colpe, crimini di alcuni (l’evasione fiscale è un crimine, e in alcuni Paesi lo si paga con la galera), non quadra la cifra esistenziale di tutti. Da qui deve cominciare la ripartenza, se no ci racconteremo solo un sacco di fanfaluche: alla prossima disgrazia, si confermerà che pover’Italia siamo, nonostante l’adoperarsi generoso d’una moltitudinaria minoranza di brava gente.
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Incoerenze, polemiche, dispetti, caos. Questo è il rapporto tra governo centrale e amministrazioni periferiche. La ‘cultura dello scarto’ sta anche nell’accantonare da parte degli uni le decisioni prese dagli altri, assumendone di proprie. Ne conseguono lo sconcerto dell’opinione pubblica e il cattivo funzionamento dell’operatività generale sotto l’incalzare del Covid-19. Non può e non deve girare così. Urgeva un commissario straordinario che tenesse le redini del tutto, ascoltasse, valutasse, coordinasse, stabilisse. Un commissario straordinario vero, lo Zamberletti di turno. Non avrebbe causato una diminutio del premier e dei suoi ministri, semmai incarnato l’opposto: il segno d’una scelta risoluta, convinta, mirata a risolvere in fretta e con competenza la sterminata fila dei problemi in arrivo. Quando si delegano poteri forti, non si compie un gesto debole. Le esperienze di qualche terremoto al quale si rimediò con eccezionale, rapido, sburocratizzato pragmatismo ce lo ricordano.
Ora Conte ha affidato a un ‘uomo del fare’ la ricostruzione, nell’attesa che l’emergenza finisca: un’ottima idea. Lo è meno l’aver messo Vittorio Colao, ex capo di Vodafone, alla guida d’un team di sedici persone. Se l’apice decisionale deve corrispondere al proposito d’agilità interventistica, gli va concesso l’uso d’una task force, un’unità per sua definizione snella al punto da rammentare quelle impegnate nelle missioni militari. Dunque dotata d’un vertice autorevole e perciò non tenuto ad ascoltare troppe voci, pena il drammatico ritardo nelle operazioni richieste. Il gruppone insediato rischia di rivelarsi l’opposto: una talk force di cui le troppe chiacchiere potrebbero ridurre la potenzialità nel compito affidatole. Fra parentesi: tanti professori, zero imprenditori. Sorprendente.
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Dopo l’errore di sottovalutazione iniziale -il medesimo commesso dai leader di ogni nazione- il governo Conte ha fatto il possibile al cospetto dell’impossibile. Sconfiggere una pandemia d’origine sconosciuta non richiede un miracolo: molto di più. Contenerla rappresenta un miracolo, niente di meno. È quanto sta accadendo, nonostante una sequela d’indugi, contorsioni, sbagli dovuta a tre ragioni: 1) la maggioranza disarmonica e fragile che regge Conte; 2) lo scarso o nullo senso dello Stato, che impedisce perfino nell’evento eccezionale il saldarsi delle forze politiche che stanno al governo con quelle d’opposizione; 3) l’imperare suicida della burocrazia, specialista nel complicare le situazioni semplici, il che significa purtroppo far danni gravi e concreti agl’italiani, non solo all’Italia.
Proprio la drammatica svolta imposta dal corona ha fatto capire ai primi d’essere la medesima cosa della seconda. Negli aspetti positivi: guardiamo alla risposta di medici, infermieri, addetti dei servizi pubblici essenziali, volontari, benefattori, imprese private che garantiscono produzione e smistamento del necessario a vivere. E negli aspetti negativi: l’aver tollerato, di legislatura in legislatura e in cambio di perdonate/mediocri trasgressività, il perpetuarsi d’una catena di comando politico all’insegna d’astuzie, incompetenze, ignavie. Quando non di peggio, come racconta la storia giudiziaria degli ultimi decenni.
Per farsi aiutare in modo adeguato dall’Europa, il presidente del Consiglio avrà bisogno di vero spirito patriottico, come auspica invano Mattarella. Non è questione di retorica, ma di pragmatismo. I leader politici che negano la collaborazione al governo, non appaiono tali, risultando così poco avveduti da non comprendere un principio elementare: la solidarietà di oggi prelude al governissimo di domani. A Conte per primo non sfugge che solo un esecutivo d’unità nazionale -guidato da una personalità terza rispetto alle parti oggi in conflitto- potrà presiedere all’epocale Rinascimento. Perché di questo parleremo, non di una semplice rinascita. Come accadde settantacinque anni fa, dopo il 25 aprile di cui andiamo tra qualche giorno a celebrare la simbolica portata universale. Resistemmo, resistiamo, resisteremo? Sì che resisteremo, svestendo le casacche della partigianeria e affiancati da un’Europa più forte, non più elemosiniera. Ha ragione lo storico israeliano Yuval Harari: bisogna chiudere i confini tra il virus e l’uomo, non quelli tra uomo e uomo, tra nazione e nazione.
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