In pochi giorni siamo stati indotti a vivere in condizioni surreali e giorno dopo giorno ci siamo resi conto che il distanziamento e l’isolamento tra le persone è diventato il contributo che più efficacemente risponde ad una responsabilità sociale e alla difesa del vivente.
Ci sono due contraddizioni in questo comportamento necessario e consapevolmente condiviso: la nostra usuale propensione a socializzare viene inibita dall’esclusione di contatti fisici; la primavera esplode in tutta la sua carica attorno a noi – fermi ormai come le piante – mentre i cani abbaiano e scorrazzano, i merli mettono il nido, le gemme reinverdiscono gli arbusti. Insomma: in una realtà che rafforza l’inconscio percepiamo distintamente che noi persone siamo fatti di relazioni e il vivente non siamo solo noi umani, ancor più fragili di una primula o delle lucertole che guizzano sui muri.
Forse ci farà bene la lezione della pandemia, se ne usciremo decidendo ora come. E non sembra che siamo bene indirizzati, almeno a partire dai quei governanti che hanno più occhi per la geopolitica che non per l’era nuova cui va incontro il genere umano. Una specie che scopre – dopo essersi riprodotta per alcuni secoli contornata di beni e merci sopra le righe – che ci sono limiti nella crescita e, attraverso un virus maligno, che tutto è connesso e che nulla di questo mondo può esserci indifferente.
Purtroppo, i tempi del contagio dureranno assai: quindi questa volta mi soffermo solo su un punto che viene messo spesso sullo sfondo, mentre ne riprenderò altri in seguito.
Mentre, quando al telefono ci si chiede “come stai? Si, tutto bene, speriamo di incontrarci presto…”, temiamo che non sia esattamente così, ad altri capi di telefono o di sofisticati sistemi di trasmissione si sta giocando ancora una volta una partita di dominio e di eversione dei rapporti di forza tra economie ed eserciti, tutt’altro che fuori dalla mischia.
E così la geopolitica torna – o almeno verrebbe tornare – a prevalere sulla biosfera. Lo vogliono quelli che contano e che hanno dato perfino i tempi all’epidemia, arrivando sempre in ritardo: da Johnson, preoccupato di non pagar dazio all’Europa, alla Merkel, refrattaria a una solidarietà che penalizzi la Germania, a Bolsonaro, che pensa di inondare di soia brasiliana il mercato mondiale, a Trump, che vorrebbe che anche il XXI secolo rimanga a marca USA, agli Arabi e a Putin che contano di inondarci di gas e di petrolio a prezzi stracciati, appena ci saranno cenni di ripartenza e, infine, al presidente cinese che punta a rafforzare le reti commerciali della Cina, diventata fabbrica del mondo, magari ancor più stabile alla fine della pandemia.
Avremmo bisogno di cooperazione, ma dietro la facciata si nasconde un mondo che invano il segretario generale dell’ONU e papa Francesco chiama a una sospensione delle guerre e del riarmo, mentre la Nato si esercita ai confini dell’Est Europa, il Pentagono adotta atomiche “tattiche” e perfino noi italiani, in deficit di strutture sanitarie, approviamo spese per nuovi sommergibili e cacciabombardieri!
Gli scontri geopolitici stanno guadagnando slancio e non è chiaro se si fermeranno anche quando il vaccino sarà disponibile e la vita potrà ritornare alla normalità, ma ad equilibri mutati come dopo una guerra.
Siamo talmente infatuati da un’informazione poco approfondita e sempre schiacciata sul giorno per giorno, da non tenere conto che sullo sfondo del dramma coronavirus, che annienta perfino la pietà verso i morti senza oblio, interi staff, think tank, dipartimenti universitari, centri studi finanziari, esperti delle banche lavorano perché la rielezione di Trump venga appoggiata dalle solite lobby, in un contesto di ripresa anziché di recessione, tutto simile a prima con eguali produzioni e consumi, alla faccia della sanità pubblica che non c’è e che lascia sul campo migliaia di vittime, non importa se bianchi, neri, ispanici, anziani o emigrati.
La partita ha risvolti impressionanti come al solito in Medio Oriente dove il mix di petrolio e armi si fa sempre più inestricabile.
Anche l’Europa sprofonda in questa incosciente competizione, seppure con un ruolo più defilato. Eppure, sarebbe questo il momento del suo rilancio, di una ripresa di funzione guida su un modello sociale che ricongiunga i valori delle Costituzioni postfasciste e postnaziste che sono state invece depotenziate da venti anni di liberismo incontrastato. Un’appropriata sovranità popolare continentale approverebbe di sicuro un cambio di passo incardinato sulla giustizia sociale e sulla riconversione ecologica. Invece, ogni Nazione sta diventando sempre più isolata l’una dall’altra e finora non vi è ancora consenso nemmeno su un approccio unito per contrastare il virus e le conseguenze economiche e sociali dell’infezione.
Almeno 5 milioni moriranno di coronavirus su scala continentale. Molti di più se il contagio tocca in maniera massiccia l’America e il mondo. Ma mentre in una guerra la forza produttiva di almeno un paese vincitore alla fine è a pieno regime e può muoversi e ricostruire tutto, nel caso della pandemia fra qualche mese le industrie di mezzo mondo saranno ferme. Farle ripartire non sarà come aprire un rubinetto. Forse per questo, intanto, si continuano le guerre, si finanziano gli armamenti, si continua con le contese economiche sulla pelle dei poveri e, perfino sulla memoria di quelli che se ne stanno andando senza nemmeno il conforto dei loro cari.
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