Per chi volesse unire riflessione e natura a Luvinate è possibile seguire il percorso delle sculture lasciate da quell’estroso personaggio che fu Edoardo Caravati nei primi anni del Novecento. A parte i divieti dovuti al virus di questo periodo, questo itinerario potrebbe rappresentare in un certo senso un percorso quaresimale, alla ricerca delle opere del Caravati, dei suoi crocifissi di pietra sparsi sulla montagna.
Serve una premessa. Abito a Luvinate ed Edoardo Caravati (con il pittore Guido Bertini) è una delle glorie locali, tanto che nel 2003, quando mi ero occupato della Biblioteca, avevo avuto modo di coordinare un lavoro che aveva portato alla realizzazione di un libro, oggi praticamente introvabile: “Caravati e Bertini, gli artisti del bosco”. Il libro era stato regalato dalla Amministrazione Comunale a tutte le famiglie del paese ed era stato poi inviato alle biblioteche della provincia, dove è possibile consultarlo. Il libro rappresenta ancora oggi l’unico contributo completo sulla vita e le opere di questi due “strani” artisti.
Ma torniamo al Caravati. Il personaggio è particolare, un artigiano di talento, dalla religiosità semplice, taciturno e curioso. Un po’ matto, dice la gente. Lo descrive bene nel libro Giancarlo Langini, che ha curato la parte dedicata al Caravati e che ha avuto modo di studiare e catalogare, sia in Germania che a Luvinate, tutte le sue opere.
Dalla sua casa di Luvinate, ogni giorno lo scalpellino Caravati infatti si recava in cima al Campo dei Fiori, dove aveva trovato lavoro con l’impresa De Grandi per la costruzione del Grand Hotel e della strada per il Forte d’Orino. Era il 1911. Le sue soste per il pranzo, le sue pause durante la salita o il ritorno, erano le occasioni per prendere in mano scalpello e mazzetta e scolpire le pietre adatte. Era la sua mania o forse semplicemente era il suo modo di pregare, il suo “Pater noster” quotidiano, recitato nel modo per lui più adatto: scolpire crocifissi utilizzando le pietre trovate sul percorso. Prosegue Giancarlo Langini spiegando le sculture del Caravati: qui, “ si trovano le chiavi di lettura della sua opera, che nasce dall’incontro di una religiosità velata di surrealismo misticheggiante e onirico con la sua arcaica complicità con la natura, il tutto sostenuto da una assoluta e ingenua istintività, intrisa di tradizioni locali”. E prosegue: “Le opere del Caravati sono spesso di un candore e di una ingenuità disarmanti, ma mai banali o infantili; mantengono la purezza dello spirito libero, svincolato dalle norme, imposizioni e insegnamenti scolastici”
Ma la storia di Caravati comincia lontano. Nato nel 1869 a Bosto, primo di dodici figli, inizia giovane il lavoro di scalpellino, all’epoca molto richiesto. Lo troviamo nel 1902 a lavorare in Germania, nella regione della Foresta Nera, a Lautenbach. Si sposa, e in questi anni inizia la sua idea di scolpire crocifissi sui sassi che trova verso la cava dove lavora fino al 1908. Qualche decennio fa, in Germania, le opera del Caravati sono state valorizzate dal borgomastro di Lautenbach. È stato sistemato il terreno attorno, sono state fatte emergere dalla vegetazione invadente e le sue opere rappresentano un piccolo museo a cielo aperto liberamente visitabile. La figlia di Caravati, Alma, è stata invitata in Germania e, nel 2003, in occasione della presentazione a Luvinate del libro citato, hanno partecipato i rappresentanti politici della cittadina tedesca, segno di un legame e di una attenzione che forse a Varese è mancata.
L’inizio delle grandi costruzioni del liberty nel decennio precedente la prima guerra mondiale convince Caravati a ritornare in Italia attorno al 1910. Vive prima a Bizzozero e poi a Luvinate, ai margini del bosco, da cui raggiunge ogni giorno il cantiere De Grandi in alto alla montagna. E qui come dicevamo, la sua “preghiera di pietra”, i suoi crocifissi, iniziano a comparire senza una logica precisa nel bosco sopra Luvinate.
La gente del paese comincia a guardare in modo strano a questo personaggio particolare, di poche parole, che riempie la montagna di sculture sacre. Forse l’opera più famosa, la croce del “Sass dul Signur”, è vicino al sentiero delle sorgenti, facilmente raggiungibile. Qui la sua scultura è realizzata su pietra morenica: un’opera semplice, quasi rozza. Ma presto diventa luogo di culto popolare, un’occasione per fermarsi per un’osservazione curiosa o per una preghiera e presto viene riempita di medagliette, rosari e immaginette.
Certo, qui il tipo di roccia non è quella ideale per le sculture. È una roccia che si erode facilmente e si deteriora e a cielo aperto tende a dissolversi negli anni. Ma verso la sommità della montagna si trovano anche massi di altra consistenza e qui queste sculture restano in uno stato di conservazione migliore.
Alcune opere sono facilmente raggiungibili dai sentieri del Parco. Altre richiedono una breve escursione nel bosco. Altre ancora richiedono camminate più impegnative. Ma il libro “Caravati e Bertini” a cui facevamo riferimento le cataloga tutte e indica come raggiungerle. Il lavoro fatto in questo censimento da Giancarlo Langini, con moglie e i figli, è davvero completo e un riferimento dettagliato per chi volesse approfondire la conoscenza di questo artista.
Giancarlo Langini spiega bene anche come avvicinarsi alle varie opere. Oltre alla osservazione in ore diverse, che disegnano luci diverse, “è’ importante lo stato d’animo con il quale l’osservatore si avvicina: i tempi lenti di chi cammina, l’attenzione all’ambiente, un po’ di fatica fisica sono elementi che predispongono ad apprezzare un artista atipico come Edoardo Caravati”.
Per questo strano finale di Quaresima, penso, la ricerca dei crocifissi della montagna avrebbe potuto essere un modo per riflettere, seguendo le preghiere di pietra di questo personaggio.
Per quest’anno è andata così. Lo faremo in tempi migliori.
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