Maliziosamente il sito Otto per mille della Chiesa cattolica (www.8permille.it) si presenta con lo slogan “Il Paese dei progetti realizzati”, come a suggerire che altrove – in Italia? – non si riesca a portarli a termine con altrettanta certezza. Sta di fatto che in queste settimane la Chiesa attinge dall’8 per mille per fare la sua parte sul fronte coronavirus. Con quei soldi la Cei ha finora stanziato 16,5 milioni di euro per interventi straordinari nel nostro Paese e altri 6 per aiutare l’Africa e altre nazioni povere. Attraverso la Caritas e le diocesi continua a sostenere le strutture ospedaliere italiane, molte delle quali stanno radicalmente modificando la propria organizzazione interna.
Vicini alla concretezza di Francesco più che allo spericolato misticismo preelettorale di Salvini (“Aprite le chiese a Pasqua: la scienza non basta, serve anche il buon Dio”), i vescovi italiani hanno destinato 3 milioni di euro alla Fondazione Policlinico Gemelli, all’ospedale Villa Salus di Mestre e all’ospedale Generale Regionale Miulli di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari. E finanziano l’impegno solidale delle diocesi italiane mettendo a disposizione strutture edilizie proprie o altrui, destinate principalmente a tre categorie di soggetti: medici e/o infermieri, persone in quarantena ed ex carcerati che escono a fine pena e non sanno dove andare.
Ad oggi 23 diocesi hanno comunicato di aver offerto alla Protezione civile e al sistema sanitario nazionale strutture per oltre 500 posti. E attraverso la Caritas sono stati attivati centinaia di progetti a supporto dei più deboli. Una Chiesa dunque solidale ed efficiente. Ma ciò non ferma il dibattito e le polemiche che da sempre divampano sull’istituto dell’8 per mille, attivo dal 1984 quando Bettino Craxi e monsignor Nicora crearono un sistema aperto alle altre religioni trasformando nell’8 per mille lo stipendio (la congrua) che lo Stato italiano pagava ai parroci in base al Concordato del 1929. Da allora il fisco, per espressa volontà dei cittadini, può trasferire alle Chiese l’8 per mille dell’Irpef.
Da questa fonte la Cei riceve circa un miliardo di euro l’anno, una cifra tendenzialmente in calo. Negli ultimi due anni, l’8 per mille alla Chiesa cattolica ha perso 2 milioni di sottoscrittori (su 16) tra contestazioni e polemiche: c’è chi si rifiuta di versarla per dispetto a papa Francesco, chi critica il metodo burocratico “che non rende conto a nessuno”, chi non condivide la linea della Cei, chi non è convinto della bontà di quanto fanno i preti, chi non vuole finanziare le aperture all’Islam e l’accoglienza incondizionata degli immigrati, chi tira in ballo le unioni civili, l’eutanasia, l’utero in affitto, chi ce l’ha con Pannella ed Emma Bonino, chi è integralista e firma per la Chiesa ortodossa.
La maggior parte delle risorse garantisce spese obbligatorie non comprimibili come il sostentamento del clero. Ciò che ogni sacerdote riceve per vivere è più o meno pari a quello che molti cittadini ottengono dal reddito di cittadinanza. E i sacerdoti, in molti casi, donano il poco che ricevono. Senza contare che restano escluse dal beneficio le religiose che vivono in comunità molto povere. Ma c’è una parte significativa impiegata sulla base delle decisioni collegiali dei vescovi che può essere rimodulata. “È legittimo cercare di migliorare lo strumento”, scrive Giuseppe Tognon, docente di storia dell’educazione, nel sito dell’agenzia d’informazione religiosa Sir.
L’obiettivo è restituire stabilmente alla collettività una parte dell’8 per mille in servizi: “Sarebbe opportuno – afferma Tognon – studiare nuove forme di sostegno sotto forma di cofinanziamento ad attività imprenditoriali e assistenziali promosse e gestite dalle comunità, dal terzo settore, così da raggiungere ambiti non ancora esplorati e ottimizzare le risorse già destinate. Non più soltanto aiuti a fondo perduto, ma anche compartecipazioni in attività, prestiti alimentati da un fondo rotativo che si rigenera, accollo degli interessi dovuti per affidamenti o finanziamenti di lungo termine. Sono strumenti ormai d’uso corrente anche in ambito pubblico”.
“Il tutto attraverso uno snello sistema di bandi e chiamate che già funziona nell’ambito della ricerca, dell’innovazione, dell’università, delle Onlus. All’interno degli uffici centrali della Cei – conclude Tognon – una parte importante del lavoro potrebbe essere affidata ad osservatori e comitati di esperti, capaci di progettare e di valutare le proposte e i progetti”. Tornando alla drammatica attualità, diamo un’informazione utile: per contribuire alla raccolta fondi di Caritas Italiana (via Aurelia 796 − 00165 Roma) utilizzare il conto corrente postale n. 347013, o donazione online tramite il sito www.caritas.it, o bonifico bancario (con la causale Emergenza Coronavirus) tramite:
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