La storia del coronavirus è senza alcun dubbio una grande lezione di educazione, l’umanità è stata infatti costretta a fare uscire allo scoperto alcuni valori che risultano essere fondamentali nella vita delle persone, l’obbedienza per esempio.
Certo quando c’è di mezzo la vita individuale e quella della collettività forse diventa più facile porsi il problema, scegliere con decisione da che parte stare, anche se non sempre le risposte sono immediate, soprattutto se non sono accompagnate da condizioni di natura penale, che annullano il principio dell’acquisizione morale o della coscienza civica, quella che si fonda sulla consapevolezza e sul senso di responsabilità individuale, sulla necessità che agire in un certo modo sia un atto di assoluta civiltà.
Ritrovare l’obbedienza è un po’ come riscoprire quel senso dell’autorità che ci portiamo dentro, che ci consente di ricreare un rapporto e una relazione con noi stessi e con il prossimo, un po’ come quando governati dall’autorità paterna e da quella materna, dovevamo fare certe cose per imposizione, senza replicare.
Non sempre il passaggio dall’imposizione a quello di una libera assunzione è benevolo e scontato, i passaggi per la loro natura spesso non ne lasciano il tempo e può capitare che creino momenti di evidente confusione mentale, in cui la persona si senta umanamente sminuita, privata della sua libertà personale, materialmente costretta a sottomettersi a una volontà che non corrisponde alla propria e che nella maggior parte dei casi viene vissuta e pensata come nemica.
Spiegare a una persona il perché debba adottare certi comportamenti è un po’ come violentarla, come privarla di una libertà che riteneva acquisita, perché nella nostra tradizione storica e culturale la coscienza non ha mai avuto quel ruolo primario che le spetta di diritto. Il fare e il non fare sono quasi sempre il frutto di una intermediazione, di un processo interpersonale di cui si devono definire esattamente i confini, il punto di partenza e quello di arrivo, la rilevanza, l’occasionalità, c’è insomma una sorta di relativismo educativo in base al quale nulla deve essere coercitivo e tutto passibile di personalizzazione.
Rimanere in casa, durante l’epidemia di coronavirus, per esempio, è una forma di obbedienza civile che non dovrebbe assolutamente aver bisogno di supporti di natura penale, cioè se non fai quello che ti dico ti do una multa salatissima o ti metto in prigione per un certo periodo di tempo.
In una società evoluta non ci dovrebbe essere bisogno di ricatti o di varie forme di totalitarismo impositivo, l’assunzione di una prassi di natura sociale e quindi collettiva dovrebbe essere la norma, una determinata cosa se viene richiesta la si deve fare per il bene comune, perché così facendo tutti ne traggono vantaggi e benefici.
La famiglia e la scuola hanno responsabilità enormi in questo campo, l’educazione va spiegata, analizzata, costruita e soprattutto va vissuta, perché abituare alla concretezza del vivere sociale è la più alta forma di coesione. Ritrovare il gusto dell’obbedienza è un po’ come riscoprire il senso di quello che facciamo, del perché lo facciamo, di chi siamo, di quali siano quei valori societari che ci permettono di vivere bene insieme e di migliorare sistematicamente la nostra civile convivenza.
È soprattutto in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo che ci rendiamo conto se siamo pronti a sostenere con determinazione e coraggio la nostra identità e la nostra appartenenza, è nella coscienza civica individuale che si fa largo il respiro educativo di un paese che vuole dare l’esempio, che vuole dimostrare di essere all’altezza dei compiti che lo attendono.
L’obbedienza non è mai un fatto casuale, presuppone un valore etico, una motivazione, ci si comporta in un certo modo non solo perché è necessario, ma perché è l’ordine morale della comunità che lo esige, perché la vita individuale si realizza e si completa nella sua vocazione sociale, nell’essere parte attiva di un tutto. Obbedire non è sottomettersi, non è essere schiavi di uomini o convenzioni, non è privarsi della propria libertà, semmai potenziarla, renderla ancora più ampia e solidale, fare in modo che si attivi e si compia all’interno di un processo di riconoscimento, dove l’azione, qualunque essa sia, risponda sempre a un input di natura morale, sociale, sia consapevole di quello che compie, del valore stesso della sua natura.
In questi anni di appropriazione tecnologica, il senso collettivo, l’appartenenza, la dimensione sociale, la tradizione hanno assunto espressioni iconiche, ci troviamo di fronte a una generale contrazione di atteggiamenti, dove il particolare prevale sul generale e dove nella maggior parte dei casi ci si appella a una non ben definita e identificata libertà di azione. Si è perso il senso della misura, ci si è disabituati all’azione comunitaria, al valore di beni come il rispetto, l’altruismo, la considerazione non solo fisica, ma soprattutto morale dell’altro, ciascuno vive infatti nel proprio mondo, pensando che quello dell’altro sia qualcosa di profondamente antipatico e avverso.
Non è così. Una società cambia se impara dagli errori che commette, cambia se si pone in una condizione di ascolto e di valorizzazione, cambia se impara a osservare un codice di comportamento uguale per tutti, nessuno escluso.
In questi giorni di coronavirus assistiamo a varie forme di eroismo, l’animo umano si è acceso e questo fa ben sperare per la sua evoluzione, ma non dobbiamo dimenticare che non bastano solo gli eroi di turno, è necessario un passo avanti da parte di tutti, occorre che gli esempi tornino a essere illuminanti per tutti. Dopo la morte torna la vita, ma la morte non è mai per nulla, ha anch’essa un’azione catartica, ci induce a riflettere, a prendere atto che la vita è un valore onnicomprensivo e per questo straordinariamente grande e prezioso.
Stare in casa diventa quindi un’elevata forma di obbedienza, dentro la quale si forma e si consolida una nuova volontà, quella che ci consentirà, una volta scomparso il virus, di poter guardare avanti mettendo in campo tutto quello che abbiamo appreso sbagliando sistematicamente, ma con la prua rivolta verso un orizzonte più umano, dove lo stare insieme sia frutto di una fortissima componente educativa, fondata sulla coscienza di essere parte attiva di una unità che si muove continuamente e che richiede sempre il massimo sforzo da parte di tutti.
Oggi abbiamo di fronte molti esempi straordinari al riguardo, c’è un mondo che si prodiga per aiutare il prossimo e lo fa con una forza d’animo incredibile, dimostrandoci il valore reale e profondo della nostra gente, è in questa direzione che occorre marciare, soprattutto quando il virus se ne sarà andato e il paese dovrà ricominciare, mettendo bene in vista sul campo tutto quello che avrà visto, osservato, vissuto e imparato. Sarà l’inizio di una nuova storia.
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