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Opinioni

LIBERTÀ/2 PIÙ DOCILI

FABRIZIO MARONI - 10/04/2020

droneÈ soprattutto nei tempi di crisi che riscopriamo la fragilità delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto. Ce lo ha ben dimostrato il primo ministro ungherese Orban. Sacrificare alcune libertà in favore dell’autoritarismo è una tentazione a cui è facile cedere, se la sicurezza e la salute dei cittadini sono minacciate. Tanto più se i parlamenti e gli organi di controllo vengono percepiti come freni all’azione del governo.

Ma la questione è tutt’altro che limitata all’Ungheria. Tutti i paesi più gravemente colpiti hanno dovuto ricorrere a misure fortemente limitative della libertà, ma necessarie; in altre parole, lo Stato ha costretto le persone in casa per ragioni di pubblica sicurezza. E, ovviamente, siamo tutti ben disposti a rispettare gli ordini, consapevoli di cosa ci sia in ballo. Ma ciò non toglie che il ruolo dello Stato, quando l’emergenza rientrerà, sarà inevitabilmente ridimensionato.

Il punto è che, in situazioni di pericolo, diventiamo più docili alla forza dello Stato. Abbiamo appurato che i governi possono ricorrere a scelte drastiche in situazioni di emergenza. La nostra Costituzione, del resto, definisce la salute come diritto fondamentale e interesse della collettività, e in quanto tale dev’essere tutelato dalla Repubblica. Che questa sia un’emergenza è cosa chiara e condivisa quasi da chiunque. Ma quali saranno, in futuro, i criteri per giudicare la gravità di una situazione? Quale sarà la soglia oltre la quale il governo potrà ordinare la chiusura delle attività e il distanziamento sociale? E ancora, quali misure saremo disposti a tollerare?

È un tema discusso e ridiscusso, ma inesauribile: la relazione tra tutela della libertà e garanzia della sicurezza si ripresenta oggi con nuovo vigore. Anche perché è questa un’occasione favorevole per ridurre la prima in favore della seconda. Forse, se limitiamo il discorso alla tutela delle istituzioni democratiche, l’Italia ci sembra una terra ben riparata da svolte illiberali, protetta da una Costituzione forte e da una cultura politica prevalentemente antifascista.

Ma diverso è il discorso sulla privacy. Si è parlato nei giorni scorsi di sistemi di geo-localizzazione e tracciamento, che permetterebbero alle autorità di monitorare gli spostamenti dei cittadini, secondo modelli già sperimentati in paesi come Cina e Corea del sud. Nulla di nuovo, obiettano alcuni: quotidianamente svendiamo i nostri dati personali a Google, Facebook e gli altri colossi del web. Ciò non toglie che un simile potere rappresenterebbe, per uno stato, un notevole strumento di controllo.

È già stato avviato, invece, l’utilizzo dei droni per coadiuvare le forze dell’ordine nel controllo dei trasgressori. Piccoli elicotteri telecomandati, forniti di telecamere, in grado di riprendere e trasmettere in tempo reale. Anche questo strumento, disponibile da tempo ma mai utilizzato con funzione di pattugliamento, rappresenta un notevole strumento di controllo.

Se simili misure fossero adottate in tempi normali e non in stato di emergenza, certamente susciterebbero più opposizioni. Ma la priorità, ora, è contenere la terribile pandemia, quindi ben vengano le limitazioni del caso. Ma ben vengano, insieme, le domande.

Ora che l’uso di certe tecnologie viene sdoganato, gli stati continueranno a utilizzarle anche dopo? Quali misure siamo disposti ad accettare, per veder garantita la nostra incolumità? In Polonia, il governo ha imposto l’obbligo, per chi abbia contratto il virus o sia da poco rientrato in patria, di scaricare un’applicazione sui telefoni. Con questa applicazione, i cittadini devono scattarsi una foto per accertare che la quarantena sia rispettata.

Se un giorno, quando il virus sarà un ricordo, il governo ci chiedesse di compilare una lista quotidiana dei luoghi visitati (compresi i night club) e delle persone incontrate (compresi gli amanti), in cambio di una riduzione del tasso di criminalità, saremmo d’accordo?

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