La grande emergenza nazionale ha fatto riaffiorare situazioni e problemi legati alla gestione dei poteri sul piano interno, al non facile rapporto tra potere centrale e potere regionale a conferma che la scelta iniziale, fatta nell’immediato dopoguerra, fu emotiva: in primis infatti c’era da cacciare i sabaudi che già nella lotta per l’unità d’Italia non avevano avuto spunti di grande fierezza e per ingraziarsi la Francia addirittura avevano fatto ricorso al fascino femminile.
Con il referendum si è fatta la repubblica ma certamente non i repubblicani, cioè gli italiani consci di nuovi valori, di una nuova partecipazione pubblica. Così è accaduto che nella sostanza non molto sia cambiato in ordine alla gestione del potere attraverso il decentramento regionale, arrivato pochi anni dopo il referendum per scegliere tra monarchia e repubblica.
Oltre duemila anni di storia scritta dai primi sette re, poi da uomini d’azione, dittatori, imperatori erano e sono nel profondo del dna italico e sono stati motore del Risorgimento, dell’Italia unita e magari guidata da uomini forti.
La storia e la tradizione sono state cattive consigliere – è una personalissima opinione – quando abbiamo creato una repubblica vincolata a Roma. Eppure c’erano e ci sono modelli di federazioni che esaltano le migliori espressioni del localismo e al tempo stesso sono fedeli partecipi di un loro governo centrale forte, emanazione di un voto collettivo.
La dolorosa e grave vicenda della pandemia ha evidenziato difficoltà e problemi della nostra macchina istituzionale quando unità di scopi e di azione avrebbero reso più agile ed efficace qualsiasi intervento teso a tutelare la salute pubblica. Governo centrale non sempre con le idee chiare, regioni con iniziative e proposte a volte divergenti non per scelta tecnica, ma politica: insomma molti gli italiani sconcertati e poi delusi, al punto oggi di non osservare norme comuni e fondamentali per la salute nel tempo della pandemia.
Ci sarebbero altri aspetti e molte altre osservazioni sull’Italia delle regioni, un’Italia che certamente ha deluso perché non è stata in grado di liberarsi da catene che negli Anni 2000 la democrazia, uno stato centralista o una regione fortemente autonoma dovrebbero sempre spezzare. Ma questo è un altro discorso anzi è un altro percorso, lungo il quale ci si è avviati e non ci si deve fermare magari per cantare dai balconi e dalle finestre di Parma “Bella ciao” perché è solo un’illusione l’Italia liberata dai suoi problemi e da cattive abitudini.
Parma confina con Reggio Emilia dove il governatore della regione, “compagno” tosto, sull’Appenino reggiano ha chiuso il punto nascite dell’ospedale di Castelnovo Monti, a oltre 40 chilometri – dei quali una trentina di montagna –dall’ospedale di Reggio. Castelnovo come Angera, a conferma del sodalizio dei partiti per dimagrire i fondi della sanità. Altro che le balle della riforma delle meraviglie!
Alla viglia delle elezioni il compagno Bonaccini ha detto che riaprirà il punto nascite: nessuno gli ha creduto, l’Appennino elettorale intero lo ha bocciato. Come a dire che gli elettori cominciano a guardare all’interesse personale e della propria famiglia.
Il Pd di casa nostra non ha avuto bisogno di interpreti di vecchi copioni: i varesini si erano accorti che la Lega negando finanziamenti al sindaco Fontana sbagliava alla grande. Non hanno piagnucolato e vecchi e numerosissimi elettori hanno estratto a sorpresa il cartellino rosso, cioè espulsione diretta.
Coloro che da noi sono stati i professionisti del nulla da un po’ di tempo cercano di rimontare accusando il Pd di Galimberti di non lavorare per la città. Sono simpatiche facce di tolla: far ridere di questi tempi davvero grami non è roba da poco.
Non Fontana che è un governatore più che apprezzabile, ma piuttosto Salvini stia attento: può vincere lui il prossimo concorso del “Chi l’ha visto?” a Varese.
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