Uno degli aspetti più drammatici del tempo che viviamo è l’immagine dei mezzi militari che lasciano Bergamo per portare le vittime del coronavirus per la cremazione. Gli ospedali di molte città lombarde sono alle stremo, ma lo sono anche i cimiteri che faticano a dare adeguata sepoltura alle bare che affollano le sale mortuarie ed i piazzali dei camposanti.
La visione dei feretri allineati in una spettrale solitudine ricorda le vittime del ponte Morandi e di tanti terremoti che, anche in occasioni recenti, hanno sconvolto il Paese. La scena è simile, ma il contesto è diverso perché gli eventi naturali lasciano il posto a drammi sovraumani che mettono spalle al muro la conoscenza scientifica. Ogni giorno, ad accompagnare il “bollettino di guerra“ di questa epidemia, sono i salotti televisivi che spiegano l’ evento alimentando nei telespettatori un diffuso clima d’incertezza. Ad esso si aggiungono i divieti dove non tutti si piegano alle disposizioni governative. Noi, al contrario della Cina, siamo sempre stati un Paese disordinato, ma almeno ora, con il sacrificio di medici, infermieri, sacerdoti, volontari e donatori esprimiamo al mondo un sentimento di grande partecipazione al dolore. La visione di quella tetra colonna di mezzi militari rappresenta l’ emblema di ciò che stiamo vivendo.
E’ la fine dell’uomo, dei suoi sentimenti, dei legami e dei suoi valori. Mille storie penose si accompagnano al lento incedere di quei mezzi militari. In essi ci sono esistenze spezzate al limitare della vita: ma anche giovani. Ci sono medici che hanno cercato di salvare…infermieri e parroci che hanno cercato di confortare; madri che non vedranno più i loro figli e figli che non abbracceranno più i genitori. In quei mezzi scuri c’è soprattutto l’abbandono a cui oggi ci costringe la vita: il distacco senza parole da creature che amammo più di noi stessi. Nelle volute di fumo di quei mezzi c’è l’impotenza dell’uomo al cospetto del destino. C’è però anche l’umanità che ci prende quando vorremmo partecipare al dolore senza averne la possibilità. “ L’amore si oppone alla morte…” scrive Tolstoj in GUERRA E PACE: l’unico sentimento che vince la solitudine di chi amiamo nel momento del distacco. La morte di un uomo è sempre penosa: in pochi attimi racchiude le storie di tutta una vita. Ecco da cosa nasce lo sguardo implorante dei malati descritto in questi giorni da molti medici in servizio negli ospedali. Medici italiani, russi, cubani e cinesi a testimonianza di una pietà universale che, in nome dell’amore, unisce ancora i popoli.
Fernando De Maria
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