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Parole

GRAN BORGHESE

MARGHERITA GIROMINI - 03/04/2020

arbasinoAveva un forte legame con Varese Alberto Arbasino, scomparso all’età di 90 anni il 22 marzo scorso. Nel 2005 aveva ricevuto il Premio Chiara alla Carriera.

La motivazione della Giuria ben riassume il respiro della sua produzione: “Maestro avverso” alle consuetudini provinciali delle nostre lettere, con la sua visione europea ed extraeuropea degli avvenimenti culturali ha continuamente agito nei confronti di tale chiusura prospettica nelle vesti di ironico e anche paradossale sollecitatore a svecchiarsi ed aprirsi. 

Era il 25 febbraio di15 anni fa.

Arbasino arriva a Villa Recalcati di Varese in compagnia di Rosellina Archinto e di Inge Feltrinelli: un uomo di classe, elegante, ricercato, con una compostezza un po’ altera e snob.

Possiede un eloquio fluido che esibisce punte di ironia e sarcasmo.

Alle domande degli intervistatori fornisce risposte indirette, cariche di citazioni e di aneddoti; esprime giudizi sulla società italiana che rivelano una cultura profonda e una vasta conoscenza dei caratteri del borghese medio messo alla berlina senza pietà per la sua pochezza e per la stereotipia dei comportamenti.

Arbasino procede con piglio dissacrante, sa essere divertente, ma anche vagamente saccente e spesso ipercritico. È una figura che se lo può permettere.

Di tanto in tanto, come succede agli anziani, cede alla nostalgia dei tempi lontani, quando “l’intellighenzia” italiana si ritrovava al bar Roma di Forte dei Marmi per confrontarsi, condividere, discutere di politica, di arte e di futuro.

Arbasino ha avuto una vita piena, interessante, con viaggi fino a tarda età: è stato un intellettuale cosmopolita, dall’erudizione sterminata. Abbandonata senza rimpianti la carriera di giovane docente universitario ha curato le sue vere passioni: giornalismo, letteratura, arte.

Soggiorna alla Sorbona e all’Aia, poi negli Usa; qui segue i corsi di diritto internazionale di Henry Kissinger, allora giovane promessa della politica mondiale.

Una formazione sempre in divenire fa di lui un letterato dallo stile inconfondibile con una produzione che spazia dal teatro alle diverse forme di arte figurativa, dalla musica alla letteratura.

Scrive su riviste di prestigio come “Il Mondo” di Mario Pannunzio.

Gli commissionano reportage, interviste, ritratti di scrittori famosi.

Arbasino si cimenta nella scrittura di racconti. Nel 1957 pubblica la sua prima raccolta: si distingue subito per una penna estrosa e innovativa con cui descrive tanti personaggi affamati d’amore.

Con leggerezza e garbo affronta anche il tema della vita sentimentale gay, all’epoca ancora tabù; omosessuale dichiarato, rimane però estraneo a una visione militante della scelta. Non ha interesse per i cortei né per le battaglie per il riconoscimento giuridico delle coppie gay.

Collabora al “Giorno”, al “Corriere della Sera” e infine approda a “Repubblica” come saggista e osservatore del costume, nelle vesti di censore sia della tradizione cattolica sia del conformismo progressista.

Nel 1983 si registra una sua breve incursione nel mondo della politica militante quale deputato indipendente nelle liste del Partito Repubblicano.

Scrive in quel periodo il saggio più rappresentativo del suo impegno civile, “Un Paese senza”. Sono riflessioni e aforismi sui paradossi di un’epoca farsesca e allo stesso tempo tragica, di un tempo caratterizzato da classi dirigenti incapaci di affrontare i problemi reali del paese.

Arbasino è stato salutato come un grande da molti, sia dai lettori comuni sui social sia dai colleghi scrittori. Lo ha ricordato con affetto e stima anche Sergio Mattarella.

Di lui ha detto il ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini: “Con il suo genio ha illuminato la cultura italiana e non solo”.

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