Conservare la speranza non è facile, soprattutto se i deboli segnali di ripresa vengono presto contraddetti e il tanto anelato “picco” si sposta sempre un poco più avanti come la tartaruga di Achille. Le immagini hanno un grande potere in questo senso: ne è un esempio il breve video del presidente Mattarella (diffuso di proposito e non per un errore tecnico, secondo i più maliziosi), che ha contribuito a costruire l’immagine di un’Italia che combatte, unita.
In questo scenario tetro da film apocalittico, è capitato di sentire spesso ritornelli fatalisti come “la natura si sta ribellando!”. È la percezione di un pianeta che in ogni modo ha provato a metterci in guardia e ora è passato alle maniere forti: dopo i terremoti, le alluvioni e gli incendi, il coronavirus parrebbe essere una sorta di soluzione finale. Anche il papa, nella cornice di quella piazza San Pietro deserta destinata a restare un simbolo nei prossimi anni, ha lasciato intendere che la colpa dell’uomo è stata quella di non accorgersi di vivere in un mondo malato.
Consiglio a questo scopo la visione di un film che mi ha fatto pensare alla speranza: Nausicaä della Valle del vento, cartone animato dello Studio Ghibli, storico studio di animazione giapponese, disponibile su Netflix. In un remoto futuro, gli uomini sono minacciati dal silenzioso avanzare di una foresta venefica, che cresce a causa dell’avvelenamento della terra (dovuto, ovviamente, dagli umani). Questa foresta è popolata da enormi insetti, guardiani di un nuovo ordine per il quale è la natura ad assoggettare l’uomo, non più il contrario. Nell’immaginazione degli scrittori, la causa della catastrofe doveva essere un disastro nucleare, personificato in un’orda di giganti che mille anni prima dei fatti narrati ha quasi distrutto il pianeta. Ma l’immagine di una natura che si ribella è molto chiara. Solo Nausicaä, la protagonista, capisce che l’unico sistema, per gli umani, per vivere è riconciliarsi con la natura. E alla fine, per fortuna, ce la fanno.
Le preoccupazioni di tanti sono già rivolte al dopo. Quando l’emergenza sarà finita (perché certamente finirà, presto o tardi) bisognerà fare i conti con altri problemi, soprattutto di natura economica; forse meno scioccanti, ma non meno drammatici. Confindustria ci ripete quotidianamente quanto calerà il PIL, quanto sarà difficile rimetterci in sesto; sarà un dramma (lo è già) per tante piccole imprese, per bar e ristoranti, che hanno visto d’improvviso annullarsi le entrate; sarà un dramma per chi si troverà senza lavoro. Ma gli eventi drammatici devono sempre lasciare un’eredità utile, per quanto sofferta.
La speranza è che questa non diventi un’altra occasione per estendere l’area d’influenza di quello o questo stato; che un nuovo clima di cooperazione mondiale possa gettare le sue fondamenta, adesso che è chiaro che i nemici più temibili non sono necessariamente identificati nei confini di un Paese; che una nuova concezione della convivenza con la natura possa orientare le scelte dei governanti (ma anche dei cittadini). Le immagini di medici che arrivano da Cuba, dalla Russia, dagli USA e dalla Cina fanno bene al cuore. La speranza è che non sia tutta fuffa.
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