Chiamatele bufale, bolle social, narrazioni tossiche, post-verità, messaggi d’odio, falsi allarmi o fake news, tutto fa brodo e la sostanza non cambia: sono sempre notizie false, esagerate e tendenziose. O comunque non confermate. Circolano sempre più numerose sui social, nelle chat, nella messaggistica Whatsapp e Messenger e provocano quella che qualcuno ha battezzato “una follia collettiva”. Il fenomeno è violentemente degenerato dallo scoppio dell’emergenza Covid-19. In Piemonte si è arrivati a dare false notizie di campagne di disinfezione notturna con aerei ed elicotteri e informazioni catastrofiche, lontane dalla realtà, sul numero dei contagi.
C’è un picco di disinformazione soprattutto sull’origine, la diffusione e gli effetti del virus. Molte affermazioni errate e fuorvianti vengono quotidianamente spacciate sui social network creando confusioni e inutile allarmismo. Ad esempio: “Il 12 marzo, i nuovi casi di Coronavirus sono aumentati solo del 5% negli Usa”, “La mortalità in Italia è molto più alta che in Francia”, “In tutta l’Australia ci sono 5 casi”, “Il tasso di mortalità sta scendendo in Cina”, “In Brasile ieri ci sono stati 50 casi”. E così via. Per non parlare delle sparate e delle teorie complottistiche che spaventano la gente, favoriscono convincimenti negativi e inducono i lettori in errore.
Secondo uno studio del Massachussets Institute of Technology le false informazioni si diffondono sei volte più velocemente della verità, spesso con impatti devastanti. Un tweet diffuso nel 2013 da un account hackerato dell’Associated Press, che riportava il falso ferimento di Barack Obama in un attacco terroristico, ha provocato un crollo dell’indice Standard & Poor’s su 500 aziende Usa. Facebook, Google, Linkedin, Microsoft, Reddit, Twitter e Youtube, i colossi del web e della Silicon Valley, uniscono gli sforzi contro l’infodemia, la disinformazione parallela alla pandemia, incontrando l’amministrazione Trump per discutere le misure necessarie.
Ma c’è chi maliziosamente si chiede se il presidente abbia l’autorevolezza necessaria in tema di corretta informazione dopo le polemiche sulle ultime elezioni presidenziali Usa. In Italia WhatsApp ha quasi raddoppiato la capacità del server per supportare la crescente esigenza di chiamate voce e video. E lancia WhatsApp Coronavirus Informtion Hub, il nuovo servizio in partnership con l’Oms e l’Unicef che punta a dare notizie corrette a utenti, operatori sanitari, governi e imprese. Un consorzio di undici partner europei si è messo al lavoro per migliorare la veridicità del web con il progetto Social Truth che promette un facile accesso ai servizi di verifica delle notizie.
I social sono uno strumento ludico, di gioco e intrattenimento ma oggi si calcola che più di sei persone su dieci li utilizzino per informarsi. Uno studio dell’Osservatorio News Italia sulla percezione delle fake news afferma che oltre il 60% degli utenti che utilizzano Internet come fonte primaria d’informazione si definisce “abbastanza sicuro” della sua capacità di riconoscere una bufala da una notizia verificata. Tecnici e sociologi distinguono tra fake news, “bolle social” auto-confermative e “camere dell’eco” in cui l’utente cerca notizie che confermino la sua visione del mondo, l’identità di appartenenza e rispondano ai suoi particolari interessi, alle paure e ai desideri. Come a dire che ciascuno cerca le notizie che gli fanno più comodo.
Ma il problema è serio. Sulla necessità di contrastare le bufale sul coronavirus interviene il sottosegretario all’editoria Andrea Martella: “Sin dall’inizio di questa drammatica vicenda – dice – ho fatto appello ai cittadini a informarsi esclusivamente attraverso i siti ufficiali del governo, delle istituzioni sanitarie, le testate giornalistiche nazionali e locali e le agenzie di stampa, perché in momenti come questi l’accreditamento delle fonti, la professionalità degli operatori dell’informazione, la completezza e la credibilità dei contenuti fanno la differenza. Anche gli operatori del web facciano la loro parte per isolare chi gioca contro l’interesse collettivo”.
Nel sito di Articolo21, il presidente della Federazione nazionale della Stampa Giuseppe Giulietti rincara la dose: “Occorre una grande alleanza per contrastare esecutori e mandanti della campagna di falsificazione che alimenta la paura, favorisce il discredito delle istituzioni e del giornalismo professionale, colpisce alle spalle chi è impegnato nel difficile compito di fermare la diffusione di un virus subdolo e mortale. Gli inquinatori si appellano persino alla Costituzione, si nascondono dietro il diritto di critica e la libera circolazione delle opinioni. Ma la Costituzione non tutela questi delinquenti che calpestano la verità e la dignità delle persone”.
“Da qui la nostra proposta, rivolta in primo luogo alla Rai in quanto servizio pubblico, ma non solo alla Rai, di istituire un gruppo di lavoro capace di individuare, contrastare, segnalare le singole bugie e di risalire alle centrali che le costruiscono e le distribuiscono”. Il gruppo, aggiunge il presidente Fnsi, dovrebbe comprendere rappresentati delle istituzioni dalla polizia ai carabinieri, dall’Istituto superiore di sanità al ministero della Salute, dall’Autorità di garanzia delle comunicazioni alle giornaliste e ai giornalisti che, da anni, si dedicano alla caccia ai falsi e ai falsari. Andrebbero inasprite le pene, possibilmente raddoppiate, se il colpevole rappresenta le istituzioni o la politica.
“Chi consapevolmente promuove e sostiene le campagne di inquinamento deve essere considerato un traditore della Repubblica, un nemico della salute pubblica, della dignità di ciascuna persona. Tra i complici di costoro vanno inseriti anche i cosiddetti opinionisti a tariffa, quelli che molto urlano, perché nulla sanno. Anche il governo – conclude Giulietti – dovrebbe avere una comunicazione più lineare. Nelle scorse settimane credenti e non credenti hanno firmato la Carta Parole non Pietre che si apre così: “Non scriviamo degli altri, quello che non vorremmo fosse scritto di noi”. Mai come ora è il caso di ricordarsene e di stare, sempre e comunque, dalla parte delle vittime”.
Contro la disinformazione online, c’è infine da registrare la nascita del primo sito che prova a verificare le notizie che riguardano il coronavirus. Si chiama Corona Check ed è raggiungibile al seguente indirizzo: https://coronacheck.eurecom.fr/. Lo ha realizzato un team di ricercatori del dipartimento francese Data Science di Eurecom e dell’americana Cornell University con la collaborazione della Johns Hopkins University, pure statunitense. Le notizie vengono verificate sulla base di dati ufficiali provenienti dalla World Health Organization, dai governi e dai ministeri della salute di Italia, Australia, Taiwan, China e Canada.
Corona Check propone la verifica automatica di affermazioni che riguardano casi confermati di coronavirus, persone guarite, decessi e tassi di mortalità e di accertare se una determinata frase è vera o falsa. Per ogni verifica, il sistema mostra un’etichetta vero/falso e una spiegazione di come il sistema di intelligenza artificiale sia giunto a quella conclusione. Di fronte ad affermazioni che non è in grado di verificare, l’algoritmo chiede feedback all’utente affinché possa aiutarlo nel processo. In questo modo, il sistema apprende dal feedback degli utenti come gestire nuovi tipi di reclami e su come sfruttare nuovi set di dati.
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