Guarda i casi della vita. A novembre mi era capitato di prendere in mano il libro “L’architettrice” di Melania Mazzucco, una che sa scrivere e che avevo già avuto modo di apprezzare in “Vita”, un romanzo sull’ emigrazione italiana in America, premio Strega nel 2003. Il nuovo libro della Mazzucco, edito da Einaudi, mi aveva incuriosito perché presentava, attraverso la forma del romanzo storico, la figura di Plautilla Bricci, nata a Roma nel 1616 e morta a Trastevere nel 1705, la prima donna architetto della storia moderna. Di questa artista non conoscevo nulla, neppure il nome, devo ammetterlo. E come una donna fosse emersa in quel mondo artistico romano, all’epoca di Bernini e Borromini, e quale fosse il suo itinerario artistico e umano, mi avevano interessato.
Devo dire che “L’architettrice” è davvero un buon libro, non a caso arrivato in pochi mesi alla sesta ristampa: molto documentato, studiato bene nella sua struttura, scritto bene, accolto con entusiasmo da lettori e critica. Nelle sue imponenti cinquecento pagine che scorrono senza fatica, Melania Mazzucco presenta, come dicevo, Plautilla Bricci. La inquadra in modo documentato e insieme fruibile nella Roma del Seicento. Scrive giustamente Alberto Asor Rosa su “Repubblica”: “Straordinaria è, da parte di Mazzucco, la ricostruzione di questo ambiente vivo e debordante, sollecitante e corrotto, sensuale e bacchettone, ilare e triste da morire, che è la Roma del pieno Seicento”.
Dicevo all’inizio: guarda caso. Guarda caso perché all’interno di questo romanzo storico sono presenti molte pagine relative alla peste del 1656 a Roma. La Mazzucco ne racconta gli inizi, i primi contagi, le sottovalutazioni, le successive tragedie e le conseguenti angosce. E poi la fine, finalmente, il ritorno alla normalità.
Mai avrei potuto pensare che solo due mesi dopo la lettura di questo libro, tutti noi fossimo investiti da una tragedia sanitaria e sociale, il coronavirus, tale da scatenare situazioni e sentimenti con diversi punti in comune con la narrazione di Melania Mazzucco, soprattutto nell’imprevedibilità, nella sconcertante diffusione, nelle iniziali sottovalutazioni, negli isolamenti, nel blocco delle attività economiche, nelle paure.
Ma procediamo per gradi, con qualche breve informazione in più: Plautilla Bricci è considerata la prima importante figura di donna “architettrice”(così si definiva lei) della storia moderna. Nella Roma di Bernini e Borromini, in un mondo artistico in cui gli spazi per le donne erano quasi impensabili (tra le poche eccezioni: Artemisia Gentileschi), Plautilla Bricci aveva disegnato, progettato ed eseguito, con il fratello Basilio, una originale villa di delizie presso la porta San Pancrazio, denominata per la sua forma “Il Vascello”. La villa fu poi gravemente danneggiata nel 1849 durante l’assedio di Roma, nel mese di giugno, ad opera del generale Oudinot che portò all’ingresso in città delle truppe francesi per porre fine alla neoproclamata Repubblica Romana, insediando un governo militare in attesa del ritorno di Papa Pio IX. Spiega Roberto Gervasini, appassionato studioso di quel periodo storico: “Attorno alla Villa del Vascello, che oggi è sede della massoneria Grande Oriente d’Italia, in quell’assedio morirono i varesini Daverio nato a Calcinate del pesce e poi Morosini, monarchico e cattolico come l’amico Dandolo che combattevano per la Repubblica”. Un legame, quindi, con la nostra città.
Questo per inquadrare il personaggio di Plautilla e per accennare alla sua opera di architettura più conosciuta. Ma nel libro di Melania Mazzucco, come dicevamo, vengono presentati, con rigore storico, episodi relativi alla peste romana del 1656. Il contagio, giunto da Napoli, fu all’inizio sottovalutato. Ma su una popolazione di centomila persone, i morti furono quindicimila, una tragedia. Il dettaglio del racconto ci porta alle difficoltà dei giorni nostri. Inevitabile, appunto, questo pensiero. Da qui l’idea di parlarne.
Racconta Melania Mazzucco nel suo “L’architettrice” descrivendo la situazione di Roma: “Mia madre non poteva andare a messa perché nelle chiese avevano levato i banchi e tolto l’acqua benedetta, non si celebravano nemmeno le festività e il prete della nostra parrocchia di San Biagio, spaventato dalla falcidia dei suoi colleghi, chiedeva ai fedeli di praticare le devozioni in casa proprio e di non confessarsi”.
E più avanti, parlando del fratello Basilio Bricci: “Basilio andava a caccia di notizie. Fuori Porta del Popolo per assistere all’impiccagione dei ladri sorpresi a rubare nelle case sequestrate o a rivendersi le robe infette portate agli spurghi (…) Rimase sconvolto dalle fosse comuni. Scavate dai galeotti, profonde, cupe. Solo i nobili dentro la cassa di piombo, tutti gli altri li buttano dentro nudi, nella terra nemmeno consacrata, insieme maschi e femmine, senza cerimonie, senza preghiere, senza segni che ricordino chi sono stati, miserabili e poveri per lo più, perché muore soprattutto la gente bassa, ma anche gli altri”.
Quanto alla vita della città: “Le attività artigianali si stavano fermando una dopo l’altra per mancanza di materie prime e di acquirenti, non c’era più il commercio e, a parte il vino che le autorità lasciavano entrare dai Castelli evitando di bandire quei territori fino alla fine della vendemmia, cominciavano a scarseggiare i generi alimentari. Ma i tipografi e stampatori lavoravano giorno e notte. Pubblicavano opuscoli e foglietti, orazioni e preghiere, riciclavano pure vecchi trattati che offrivano rimedi ad altre pestilenze”.
Ben descritta da Melania Mazzucco la fase iniziale del morbo, la sottovalutazione del contagio e soprattutto il pensiero che il contagio toccasse ad altri, perché si pensava che “la vigilanza avrebbe circoscritto il contagio ai tuguri maleodoranti e sovraffollati della gente bassa, agli stracci dei mendicanti e ai letti delle locande”.
La percezione dell’enormità del problema nasce però presto: “Il morbo si insinuava nelle stanze dei signori. Entrava dalle stalle e dalle cucine, dai corpi dei domestici e dei cocchieri. I ricchi cominciarono a temere i loro servitori. A provare una avversione irriducibile per coloro che gli lavavano i panni, gli aprivano lo sportello del cocchio, li pettinavano, li servivano a tavola (…) I principi e i cardinali rimasti in città congedarono tutti quelli che dormivano in casa propria e frequentavano estranei. Tennero solo la servitù di casa”.
Ma la speranza, quella che anche noi nella situazione odierna cerchiamo di cogliere in ogni piccolo segnale, aveva trovato un segno concreto. Quasi improvviso. “Alla fine di marzo la peste ha ricominciato a scemare, i lazzaretti a svuotarsi: si riempivano le case dei guariti e dei ritornati. Gli inservienti e i medici dei lazzaretti e degli ospedali tornavano ai loro precedenti incarichi”. Poi, consolidata la certezza, con taciuto timore si era tornati alla vita di prima. L’isolamento aveva dato qualche frutto, la forzata riduzione di contatti sociali aveva prima rallentato e poi fermato il contagio.
Prosegue Melania Mazzucco: “L’epidemia è stata dichiarata estinta. Il Papa ha indetto cerimonie per la liberazione della città, e ha fatto cantare il “Te Deum”. È stato tolto il bando, hanno riaperto i collegi e i tribunali. Ma in realtà dalle robe nascoste nelle cantine e seppellite nei giardini, oppure rubate nelle case infette, la peste ha continuato a circolare, ed è riesplosa più volte, tanto che fino ad agosto non siamo stati al sicuro”. In sostanza, quattro o cinque mesi di colpi di coda, dopo la fine ufficiale del contagio.
Alla fine la peste finì. Tutto tornò a vivere. E tornò l’entusiasmo delle cose.
Ma al di là della pagine sull’epidemia da cui abbiamo preso spunto, il libro di Melania Mazzucco merita di essere letto. Cinquecento pagine scorrevoli e ben scritte, da leggere senza fatica (se non quella di reggere con difficoltà, per chi è abituato a leggere a letto, un volume di questo peso e spessore). “È un romanzo straordinario” ha scritto Angelo Guglielmi su “Tuttolibri”. E Annalena Benini ha confermato su “Il Foglio”: “Melania Mazzucco ci offre un meraviglioso viaggio a Roma mentre ci offre il cammino di una donna libera: dentro questo libro c’è tutto”.
E per finire, Giulia Galeotti su “L’Osservatore Romano” mette l’accento proprio sul racconto della peste: “Nella splendida narrazione di Melania Mazzucco (meravigliose le pagine dedicate alla peste, entità viva e multiforme che semina dolore, evidenzia le differenze e apre spazi impensabili di libertà) la lunga vita di Plautilla si intreccia con quella eterna della città di Roma. Una città che nel complesso e ricco diciassettesimo secolo è ben lontana dall’eterno immobilismo che le attribuiamo oggi”.
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