Non è stata una novità assolutamente inattesa. Si tratta piuttosto di una catastrofe annunciata. Tra quanti lo avevano detto c’ è Michael Osterholm, professore di epidemiologia per le malattie infettive dell’Università del Minnesota, e direttore del Centro per la ricerca e la gestione delle malattie infettive (USA).
È autore di interessanti pubblicazioni sulle pandemie e sui rischi derivanti dai virus.
Un suo ampio intervento, diffuso dal Foreign Office nel 2005, preannunciava che una pandemia fosse prossima. “Non è possibile sapere quando questa colpirà -scriveva- o se sarà grave come quella del 1918 o più simile a quelle del 1957 o del 1968. Non si può però prescindere dal fatto che un’epidemia possa sopraggiungere nei prossimi anni. Non si possono prevederne gli effetti, ma prepararsi a questo evento è indispensabile, e c’è bisogno di molto lavoro da parte delle istituzioni”.
Osterholm aveva esattamente previsto, e soprattutto raccontato nel suo tragico affresco d’insieme, e nei dettagli, quello che è oggi effettivamente sotto gli occhi di tutti. Una pandemia che uccide senza guardare in faccia a nessuno, travolgendo Paese e Paese, continente dopo continente. E che, nel suo percorso di malattia e morte, trova e genera il disastro universale. Non solo falciando persone, ma generando paura e insicurezza, accanto ai fondamentali problemi organizzativi, agli sforzi enormi per accudire malati e seppellire morti, ai blocchi lavorativi e ai danni economici, alle restrizioni delle libertà personali, non facili per tutti da accettare.
Prevista da Hosterholm era soprattutto l’impreparazione del mondo. Nessun paese, a virus Covid-19 in azione, ha infatti saputo dimostrare di essere pronto. Sono emerse, e stanno emergendo ovunque, mancanza di organizzazione istituzionale e sanitaria tempestiva, di efficienza collaborativa tra i diversi soggetti chiamati al coordinamento, di apparecchiature sanitarie e dotazioni necessarie ai malati e al personale medico e infermieristico, come respiratori e mascherine, e anche inadeguata conoscenza dei farmaci.
Si dirà che il Covid-19 è nuovo di zecca. Ma L’invito di Osterholm era rivolto, non per niente, al predisporre in tempo una sanità adeguata nel rispondere a un nemico ignoto che trova dimora nell’habitat ideale rappresentato da alta densità abitativa, inquinamento ambientale, domestico e industriale, vorticoso trasferimento di merci e persone caratterizzante, come tutti sappiamo, la quotidianità di un mondo che punta sempre più alla globalizzazione.
Nel 2005 il nostro si poneva dunque tutte quelle giuste domande alle quali sarebbe stato opportuno dare risposta per tempo. E il tempo ci sarebbe stato. Scriveva ancora: “Che cosa può fare il mondo industrializzato per prepararsi alla prossima pandemia? La risposta è semplice: molto. I segnali sono allarmanti. Il numero di infezioni da HcN1 in animali e uomini sta crescendo; piccoli focolai epidemici sono stati documentati a significare che il virus è vicino a manifestare un passaggio da uomo a uomo. Intanto il virus continua a evolvere grazie al riassorbimento genetico nel passaggio tra polli, suini e uomini. L’incredibile esplosione demografica in Asia ha certo creato una situazione di convivenza di diversi ospiti per il virus. Consideriamo che i cambiamenti sono simili anche nelle altre nazioni: con questo tasso di sviluppo, e considerando la crescita esponenziale nei viaggi intercontinentali degli ultimi 50 anni, si capisce come una pandemia influenzale possa essere oggi più devastante che mai. Il disastro può essere evitato? La risposta è sì. Anche se una pandemia influenzale non può essere evitata, il suo impatto può essere considerevolmente diminuito”.
Questo dipende, secondo Osterholm, da come i capi di stato, e i rappresentanti – nei consessi internazionali delle autorità dei vari paesi – decidono di agire. Spetta loro di affrontare le questioni economiche, di sicurezza, di salute che la prossima pandemia porrà in primo piano, e decidere come investire i propri mezzi.
“Ogni paese deve rendersi conto – ammoniva ancora – che, se anche possiede dosi vaccinali per proteggere i propri cittadini, l’impatto economico di una pandemia mondiale infliggerà molti danni a tutti. Le risorse necessarie per prepararsi nel migliore dei modi saranno costose, ma vanno considerate alla luce di quanto costerebbe non prendere iniziative: si prospetterebbe un’economia globale zoppicante per molti anni”.
“Questo – concludeva infine lo studioso – è il punto critico. Il tempo scorre e la prossima pandemia potrebbe essere sempre più vicina. Dobbiamo agire con decisione e cognizione di causa. Un giorno, dopo che la prossima pandemia sarà avvenuta e passata, una commissione come quella dell’11 settembre sarà interpellata per valutare quanto i governi, le imprese, i dirigenti della salute pubblica abbiano preparato il mondo per la catastrofe, una volta avuto chiaro il pericolo. Quale sarà il verdetto?”.
Purtroppo la cosa ci tocca, ci ha toccato da vicino. E ora la domanda rimbalza dal 2005 fino al 2020. Fino a noi. Speriamo che la battaglia che tanti, ammalati e sanitari, stanno coraggiosamente combattendo ancora in questi giorni (accompagnata spesso da inutile retorica) non rimanga solo scritta nel tempo come una delle tante pandemie -la spagnola, l’asiatica, la Sars- che hanno falciato con le vittime anche il rispetto e l’onorabilità dell’umanità. Soprattutto di quanti, avendo nelle mani le redini, avrebbero da sempre potuto – e dovuto – capire, e prevedere, programmare e operare per rendere la vita sul pianeta meno incerta.
Le attuali ‘scaramucce’ in Europa, dove, nonostante tutto, si continua a ragionare con l’egoismo cieco e limitante di sempre, le negative smargiassate americane, l’intransigenza ostativa dei regimi totalitari sono purtroppo specchio di quell’universale ignoranza che il mondo sta riflettendo anche, e più che mai, in questo disperato momento di fragilità.
Nella pozzanghera putrida del virus si profila il volto contagioso e universale dell’egocentrismo degli indifferenti, dei piccoli e grandi potenti dell’affarismo quotidiano, dei cinici manovratori delle supreme leve del comando.
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