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Editoriale

BASTERÀ

MASSIMO LODI - 03/04/2020

Rainer Maria Rilke e Etty Hillesum

Rainer Maria Rilke e Etty Hillesum

All’Università avevo un professore curioso di letteratura, pur se docente di tutt’altro. La sua materia era tecnica, figlia di riscontri obiettivi, in armonia con la legge dei numeri. Ma lui coglieva dietro ogni cifra, diagramma, calcolo e proiezione il cenno d’umanesimo che rendeva palpitante quell’insieme, invece di relegarlo a fredda analisi. L’intrigava il decalage dalla scienza alla narrazione, che fosse in prosa o in poesia. Specialmente in poesia. Ammiratore della Mitteleuropa, di cui sembrava un erede per snobismo intellettuale ed eleganza di portamento, non sapeva trattenersi dal collegare all’indagine su una conurbazione metropolitana l’eco d’un verso celebre. E spesso chiarificatore dei concetti di geografia socioeconomica, all’apparenza incomprensibili.

Venne il giorno che indugiò su Rainer Maria Rilke, autore austriaco d’origine boema quasi ignoto alla platea studentesca. Lo fece perché Rilke, di cui ci saremmo poi fatta una’idea meno vaga, aveva spesso insistito sul ripetersi noioso della routine quotidiana, sul suo squallore spirituale, sui cedimenti a un tirare avanti privo d’ideali, dal passo uniforme, di corta visione strategica. La citazione di Rilke serviva a censurare i disegnatori di città neutre, ambienti banali, orizzonti sfavorevoli a inventiva ed empatia. Situazione incubatrice d’una decadenza inconsapevole, e addirittura con in nuce il rischio del deficit di democrazia.

Imparammo anche così la differenza tra la vita povera e una povera vita. Scarsa di significati e valori la seconda, anche se talvolta luccicante all’occhio superficiale; abbondante di slancio e prodigalità la prima, pur se in sofferenza materiale. La chiosa del professore, per il tramite di Rilke, era un monito di realistico sprone: accusate voi stessi, quando non siete abbastanza poeti da evocare la ricchezza interiore. La possedete, usatela. Se no, costruirete un mondo prima o poi ostile, portatore di flagelli innanzitutto morali.

Parole tornate alla mente in questi giorni. Suonano come invito, ampiamente raccolto, a risvegliare il poeta nascosto in ciascuno di noi. Dico ampiamente raccolto perché va dichiarato un poeta chi sta donando il meglio di sé stesso agli altri. In mille modi diversi: lavorando, studiando, servendo; e colloquiando, fraternizzando, consolando. È una rete solidaristica che si allarga con compassione, riservatezza, resilienza per rimuovere indifferenze, ignavie, bassezze. Ci fa sentire, proprio durante il reclusivo distanziamento sociale, uniti nelle solitudini. Come sa unirci il verso poetico.

Etty Hillesum, ebrea olandese assassinata dai nazisti ad Auschwitz nel novembre del ’43 a soli 29 anni, esaltò nel suo Diario la misteriosa capacità della creatura umana di cantare anche nel giorno più oscuro e infelice, segnalando il dolore, uscendo dalla prigione individuale, comunicando al mondo la propria anima. Cioè la scintilla della fiducia. Annotò: “Dammi un piccolo verso quotidiano, mio dio, e se non potrò più scriverlo perché non ci sarà più carta e mancherà la luce, allora lo dirò piano alla sera, al tuo gran cielo. Ma di tanto in tanto, dammi un piccolo verso”. Anche piccolissimo: basterà all’amore creativo, come ha detto il Papa nel videomessaggio agl’italiani. E non solo agl’italiani. Non solo a noi.

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