-Caro Mauro, quella volta che…
“Caro Massimo, quella volta che a Varese, su mia iniziativa, celebrammo Montanelli…”
-Anno?
“2009, centenario della nascita. Vennero alla Sala Montanari giornalisti di gran calibro che avevano lavorato con lui. Tra i quali Mario Cervi, Paolo Granzotto, Egidio Sterpa, Fernando Mezzetti, Paolo Occhipinti”.
-Successone di pubblico…
“Montanelli era amatissimo. Da chi ne condivideva le opinioni, ma anche da chi no. La bravura non ha confini, steccati, perimetri. Poi magari non te la riconoscono apertamente tutti, però in segreto sì”.
-Montanelli è stato il più bravo giornalista italiano?
“Il più bravo non so. Il più capace, forse”.
-Perché versatile ovvero in grado d’interpretare tanti ruoli?
“Senz’altro. Scriveva di politica, cultura, costume. Perfino d’economia, ramo di cui s’intendeva poco o punto. Naturalmente di storia. C’è una biblioteca a sua firma, e in parte firmata assieme ad altri, che lo testimonia”.
-Un difetto?
“Non è stato il migliore dei direttori. Strepitoso solista. Non altrettanto come guida dell’orchestra”.
-Tuttavia abile nel ben attrezzarla…
“Abilissimo. Quando emigrò dal Corriere fondando il Giornale, vi portò il meglio del meglio. Un nome per tutti: Gian Galeazzo Biazzi Vergani, l’uomo che faceva funzionare quella macchina senza che s’ingrippasse mai”.
-La virtù nascosta?
“Me la rivelò Mezzetti, che lo conosceva come sé stesso: talvolta sostituiva il vero col verosimile, riuscendo a dare al verosimile la sostanza del vero. Gli riusciva particolarmente nel rievocare vizi, pregi e tic di chi ormai non c’era più e bisognava ricostruirne il profilo”.
-Ha lasciato eredi?
“Uno così non lascia eredi. Il talento se ne va col talentuoso”.
-Hai conosciuto Indro?
“Di persona mai. Al telefono sì”.
-Racconta…
“Al tempo in cui curavo sul Foglio di Giuliano Ferrara la rubrica Pignolerie, prendevo in castagna tante celebrità del giornalismo italiano. Montanelli compreso. Una volta, all’indomani delle elezioni americane del 2000 col testa a testa Gore-Bush e il no della Corte suprema al riconteggio delle schede, lui scrisse che una roba del genere non s’era mai vista. Errore: era capitata già nel 1876, caso risoltosi -anziché via sentenza giudiziaria- con un compromesso tra democratici e repubblicani. Gli mossi l’appunto, pubblicò la mia lettera, riconobbe lo sbaglio. Idem in successive circostanze, allorché incappò in svarioni da me subito segnalati”.
-Finché venne il giorno che ti telefonò…
“No, venne il giorno che provai a telefonargli io, anche se dicevano ch’era irraggiungibile. Mi rispose il suo segretario e a sorpresa me lo passò in un amen. La chiacchierata durò mezz’ora e finì con l’invito ad andarlo a trovare. Un onore, chiosai”.
-Quale fu il motivo del mancato incontro?
“Passai di rinvio in rinvio, preso da mille impegni. E soprattutto confortato da ciò che, al compimento dei cent’anni, Giuseppe Prezzolini, suo maestro, aveva detto di Montanelli: vivrà più a lungo di me perché è più cattivo di me. Ero dunque convinto d’avere molto tempo a disposizione. Invece non si rivelò sufficiente”.
-Definiamo Montanelli un arcitaliano, come chiamo sé stesso Curzio Malaparte, a significare che racchiudeva pregi e difetti d’un popolo?
“Molti più pregi e assai meno difetti in Montanelli che nei suoi connazionali. Arcitoscano, forse questo sì. Qualora per toscano intendessimo un maestro della lingua, una figura caratteriale forte, un polemista di genio”.
-Giù il Cilindro…
“Per sollevarlo meglio in alto. Su il Cilindro”.
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