Di fronte alla morte di un amico carissimo anche Gesù, profondamente commosso, è scoppiato a piangere (letteralmente: “s’è irritato”). Per dirci che Dio conosce bene le nostre tragedie, ma non era nel suo disegno la morte dell’uomo. Poiché tutti hanno peccato (cioè abbiamo pensato di fare a meno di Lui), siamo stati assoggettati alla morte. Ma il Vangelo racconta l’iniziativa di Dio per liberare l’uomo dalle sue schiavitù.
La risurrezione di Lazzaro è un segno della potenza di vita che ha Dio. Per dire la sua volontà salvifica Cristo ha guarito i corpi, ha liberato dal demonio, ha perdonato i peccati, ha risuscitato i morti. A Betania piangendo un caro amico di famiglia, mostra di essere venuto tra noi per vincere la signoria della morte.
La novità sta qui: quel destino di vita che Dio aveva sognato per l’uomo e che l’uomo aveva perso ribellandosi a Lui, ora è Gesù a restituircelo, con la sovrabbondanza del suo amore. Questo gesto di redenzione è l’unico strumento praticabile per arrivare alla vita. Passando per primo dalla morte l’ha vinta definitivamente con la sua risurrezione e ne è divenuto Signore. Lazzaro è tornato alla vita per la fede di Marta e Maria. “Credo, Signore, che tu sei il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Se è la fede in Cristo ciò che riscatta dalla morte, questa è anche alla nostra portata oggi. Infatti spiega S. Paolo che Cristo è “il primogenito di quelli che risorgono dai morti”, non un caso unico.
«L’ultima opera del Messia è stata l’illuminazione del cieco: ci ha aperto gli occhi sulla vita, mostrando la verità di Dio e dell’uomo. Ora ci dà la libertà davanti al nostro limite ultimo: la risurrezione di Lazzaro ci apre gli occhi sulla morte, ipoteca di tutta la vita. Guardare negli occhi la morte e scrutarne il mistero, è necessario per vivere. Altrimenti la nostra esistenza rimane una fuga, coatta e inutile, da ciò che è il sicuro punto d’arrivo. Gesù non salva “dalla morte”. È impossibile: siamo mortali. Ci salva “nella” morte. Non ci toglie quel limite necessario per esistere, né la dignità di esserne coscienti; ci offre però di comprenderlo e di viverlo in modo nuovo, divino. Ogni nostro limite, compreso l’ultimo, non è la negazione di noi stessi, ma luogo di relazione con gli altri e con l’Altro. Invece di chiuderci, possiamo aprirci alla comunione e realizzarci ad immagine di Dio che è amore. Gesù non ci offre una ricetta, menzognera, per salvarci dal comune destino; ci fa invece vedere come si può vivere l’amore fino a dare la vita» (Silvano Fausti).
Questa è la nostra fede: anche noi risorgeremo! Pasqua allora diventi per noi speranza sicura che Dio porterà al suo compimento l‘opera di liberazione iniziata per noi il giorno del battesimo.
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