(O) Con chi combattere il ‘duello mirando’, cui accennai la volta scorsa? Col virus, col nichilismo, con noi stessi e i nostri peccati? Se ci scambiamo messaggi come “andrà tutto bene” o anche, più volgarmente ma più realisticamente “teniamo duro”, che cosa intendiamo? Non siamo abituati ad una prova difficile come questa, noi europei occidentali che da settantacinque anni non sappiamo cos’è una guerra o da secoli un’epidemia o, come cristiani, una persecuzione, quando diciamo “uniti si vince,” che cosa intendiamo? Se tu ci inviti a guardare oltre questa quaresima forzata, questo impoverimento dei diritti, senza che siamo capaci di scoprire la ragione dei doveri, se non siamo capaci e nemmeno invitati ad andare oltre questi due comandamenti 1) state in casa, 2) lavatevi le mani; se tu ci inviti a guardare alla Pasqua dove il Vincitore, pur essendo morto regnerà vivo, che cosa hai visto per darci una speranza?
(C) Come Maddalena nell’inno, risponderei: ho visto dei testimoni, gli angeli, e delle prove materiali, il sudario e le vesti. Credo ad una realtà, alla Chiesa che ci tramanda quella testimonianza, non ad una idea, ad un progetto, nemmeno ad un sentimento per quanto possa apparire religioso e consolante.
(S) Eppure, nonostante le chiese chiuse, mi sembra di vedere un risveglio religioso, forse un po’ individualistico, sentimentale, ‘fai da te,’ però sincera espressione di un bisogno che nessuna promessa di politici e scienziati può soddisfare.
(C) Rispondo a questo suggerimento con una più aperta provocazione: non deve accadere che questa circostanza, contingente benché universale ed inevitabile, segni un’ulteriore divisione tra Chiesa, popolo cristiano credente e popolo/massa che nemmeno sa se è credente o no.
Esempio: sullo sciagurato WhatsApp, che uso con moderazione, a me arrivano due tipi di messaggi ‘virali’, cioè girati senza vera riflessione da persone comunque smosse nel loro quieto vivere da questo avvenimento. Uno è il tipo religioso/sentimentale: madonne infiorate, frati che cantano o persino ballano, medici che pregano, amici un tempo cinici ora riscoperti devoti ecc.; l’altro: minacce rancorosa verso le istituzioni e i loro rappresentanti, vuoi del governo vuoi delle opposizioni.
Tutto questo mi fa pensare che non sono sicuro che DOPO saremo migliori di ADESSO. Ma chi è in grado di aiutare le persone a formarsi un giudizio vero?
(S) Dovrebbe essere la Chiesa, ma in questo frangente temo che la Chiesa stia perdendo un’occasione, probabilmente per una mancanza di capacità comunicativa. Costretti come siamo all’isolamento domestico vorrei che le poche occasioni che vengono offerte attraverso i media fossero più attraenti e significative. Mi riferisco in particolare al Rosario ‘ufficiale’ della Cei, condotto dal suo Segretario e trasmesso in TV. Che il Rosario sia una cosa un po’ retrò, credo non sfugga nessuno, ma che venisse condotto in modo così sciatto e poco attraente da far rimpiangere quello della parrocchia quando c’è un morto in casa, non mi va giù.
Contrario come sono al progressismo ecclesiale germanico /amazzonico, in campo teologico e morale, fortunatamente moderato da papa Francesco dopo il sinodo amazzonico, sono altrettanto preoccupato di una Chiesa immobile quasi rassegnata a stare ai margini della società. Come può aiutare il popolo cristiano senza messa, senza sacramenti, senza il conforto dei parenti sul letto di morte, senza il compianto al funerale? Oppure se non alza una voce a difesa delle istituzioni educative paritarie e delle tante opere caritative che testimoniano il Vangelo con la vita?
(O) Messa, sacramenti relazioni personali, carità, annuncio della parola, conforto e giudizio nelle difficoltà, quelle materiali ma soprattutto nella difficoltà della fede di fronte al male, sono esperienze di vita di cui non possiamo fare a meno e che normalmente offriamo come nutrimento della vita quotidiana a credenti e no. Cose che non sono mancate nelle peggiori situazioni, guerre, persecuzioni ed epidemie storiche. Noto tra parentesi che questa osservazione può pure riguardare il blocco della vita civile. Anche in questo modo si perde parecchio in umanità, senza che ci sia nemmeno quella occasione di scambio, sentimentale, se volete, di consolazioni reciproche, che prima Costante svalutava. Io invece sostengo che sia meglio comunicare qualsiasi sentimento, desiderio o speranza, anche in mancanza di cose intelligenti da scrivere o da dire, ma sperando di ricevere (e comunque spesso accade) qualche parola giusta, qualche giudizio autorevole. E se sei solo capace di mandare la foto di un prato di primule o di un ramo fiorito, avrà il senso di una domanda.
(C) Sarà che il buen retiro che sto facendo è peggio degli arresti domiciliari (conosco uno che almeno aveva due ore al giorno di libera uscita), benché mitigato dal poter seguire Francesco, mio figlio disabile e dalla presenza della nipotina che incomincia a gattonare e a chiamare, con accenti ancora indistinti genitori e nonni, ma mi sembra che il tempo assuma un valore sempre più grande: sta finendo, si fa breve per un settantacinquenne, anche se al momento sono asintomatico e presumo negativo. È qui che ritorna la tentazione del nichilismo passivo anche per me: se non lo vince la fede subentra l’angoscia. A questo punto so perché, invece di aspettare che passi ‘a nuttata, riprendo con lena il lavoro sulle poche cose che so fare: amministrare la scuola materna, che in questo momento vuol dire interloquire con genitori preoccupati e magari in difficoltà a comprendere che ti occorrono le rette per pagare il personale, oppure cominciare a scrivere l’articolo per RMFonline. E confesso che questo impegno, sempre faticoso, è diventato ancora più difficile. Con una battuta: se hai la parola MISSIONE nel tuo nome, vuol dire che hai un mandato preciso e rispondi a qualcuno che ti manda, perché ha qualcosa d’importante da comunicare a chi non l’ha ed ha scelto te per farlo. È l’essenza della Chiesa, per la quale accetto la metafora dell’ospedale da campo, in cui mi immagino come un semplice infermiere e a cui consegno tutte mie residue capacità, perché so che la medicina che somministra non è un conforto solo materiale o psicologico (infatti nelle tragedie le autorità del mondo mandano lo psicologo e non vogliono il prete) ma l’annuncio di una verità.
Caro Onirio, devo riconoscere che il ‘duello mirando’ non lo combatto con il virus, con il nichilismo, con i politici statalisti, con il bilancio della Scuola Materna, ma con la fragilità della mia fede. Il vero ‘duello mirando’ non lo combatto nemmeno io, è già stato combattuto e vinto. Per questo motivo e per arrivare alla ‘mia’ Pasqua, ho grandemente bisogno della presenza autorevole, ma anche concreta, attraverso voi, amici, della Chiesa.
(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi
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