La settimana santa è la celebrazione fondamentale per la vita dei cristiani; la morte e la risurrezione di Cristo sono al centro della nostra Fede. Quest’anno con tutta probabilità non potremo celebrarla nelle chiese con la comunità dei fedeli. Viene avanzata la proposta di fare la celebrazione in famiglia, allo stesso che gli Ebrei celebravano la loro Pasqua di liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, appunto nelle loro famiglie. Potrebbe essere una esperienza preziosa, aiuterebbe una comprensione più profonda della nostra fede.
Oggi però dobbiamo prestare attenzione a un fatto eccezionale che stiamo vivendo: una particolarissima settimana santa. Il corpo di Cristo è presente, vivo e sofferente nelle tante persone colpite da questa epidemia. Attorno a loro stanno nuovi celebranti, non quelli ecclesiastici, ma gli operatori della sanità, della protezione civile, della Croce Rossa e tutte quelle persone che sono coinvolte in qualche modo nella assistenza e nei soccorsi. È un fatto che rende presente in maniera imprevedibile e impensabile ma reale la Pasqua del Signore. Bisogna inginocchiarsi e pregare.
Ormai l’epidemia si allarga sempre più e chiama fortemente tutti a una risposta unica: la solidarietà per una fratellanza universale. Se sappiamo leggere con gli occhi della fede, ascoltiamo la voce di Gesù che lascia ai suoi discepoli questo unico testamento: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv. 15,12). Questo è modo esistenziale e la condizione spirituale per celebrare la Pasqua.
È esperienza che coinvolge tutti emotivamente e spiritualmente, che fa riflettere duramente sul senso della vita. Davanti a noi viene tracciato un orizzonte che indica come unico traguardo una vera comunione di vita tra fratelli. Sovviene a questo punto l’intuizione felice di un pensatore brasiliano ai tempi della dittatura nel secolo scorso: “Nessuno salva nessuno, nessuno salva se stesso, gli uomini si salvano nella comunione” (Paolo Freire).
C’è da aggiungere per non dimenticare una osservazione amara. Il progresso che abbiamo raggiunto si è accompagnato con una forte affermazione di individualismo, creduto come massima espressione della vita. Al contrario non ha reso la vita più bella, ma superficiale, spensierata, distaccata dalle vicende degli altri, che pure ci vivono accanto, specie se sono persone sofferenti, deboli, povere. La vita umana è vita con gli altri senza esclusioni di persone per qualsiasi motivo, sesso, lingua, cultura, religione, colore della pelle… Ora la chiamata a chinarsi sui sofferenti è d’obbligo e urgente. Come non pensare alla parabola del “Buon samaritano” cuore del messaggio di Gesù ?
In questi giorni ci consoliamo dicendo: speriamo di uscirne presto. Sentimento umanissimo. Ma guai a noi se questo è vissuto come una fuga dal presente, pensando di poter cancellare subito e facilmente questa tragedia, per tornare a vivere con lo stile di prima. Dovremmo costatare che è stata una tragedia inutile! Speriamo invece di poterne uscire con una consapevolezza: che non ci devono più essere al mondo le disuguaglianze, popoli ricchi e popoli poveri, persone fortunate e persone sfortunate, perché il coronavirus ci sta insegnando che siamo radicalmente tutti uguali.
La fede ci dice che la celebrazione pasquale, facendo memoria della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, rende realmente presente il suo amore per tutta l’ umanità. Oggi stiamo vivendo la Pasqua del Signore anche negli avvenimenti drammatici prodotti dalla epidemia, che si uniscono alla drammaticità della Passione di Cristo e ne sono la attualizzazione. Anche in questa Pasqua si rivela l’amore di Cristo per tutta l’umanità sofferente.
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