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Chiesa

SILENZI E RUMORE

SERGIO REDAELLI - 20/03/2020

Copia di documento di Pio XII conservato negli archivi vaticani

Copia di documento di Pio XII conservato negli archivi vaticani

Il 2 marzo l’ex Archivio Segreto Vaticano (ora Archivio Apostolico su disposizione di papa Francesco) ha tolto i sigilli alle carte del pontificato di Pio XII (1939-1958) e com’era prevedibile sono esplose le polemiche. “La Chiesa non ha paura della storia” aveva detto un anno fa Bergoglio preannunciando l’apertura agli studiosi del Fondo Pacelli. Ma le prime anticipazioni diffuse dalla Santa Sede, che confermano gli aiuti di Pio XII ai perseguitati ebraici, suscitano la dura reazione del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: il Vaticano – ribadisce il rabbino – non volle fermare il treno del 16 ottobre 1943 che deportò ad Auschwitz 1022 ebrei prelevati dai tedeschi nel primo rastrellamento romano.

Per il capo della comunità ebraica romana è sospetta la tempistica con cui la Santa Sede ha tirato le conclusioni: “Troppo sensazionalismo. I fascicoli erano già pronti e le rivelazioni sono uscite il primo giorno come il coniglio dal cilindro del prestigiatore. Ci vorranno anni di studio per accertare la verità. Date il tempo agli storici di fare il loro lavoro”. Il treno in questione è quello che partì dalla stazione Tiburtina il 18 ottobre 1943, due giorni dopo la “retata” degli ebrei strappati alle loro case nel ghetto di Roma. Prima di partire per il lager, donne, uomini e bambini ebrei furono rinchiusi due giorni dalla Gestapo in un collegio militare a pochi isolati da S. Pietro.

“Sotto le finestre del papa” precisò l’ambasciatore tedesco Ernst von Weiszàcker in una nota a Berlino e poi commentò: “Il papa ha fatto di tutto per non compromettere i rapporti con il governo e le autorità tedesche a Roma”. Perché quel ritardo di 48 ore? I nazisti temevano una reazione da parte del papa? Ma il Vaticano tacque, Pio XII non aprì bocca. Aveva paura che Hitler colpisse per ritorsione le comunità cattoliche in tutta Europa? L’archivio finalmente dissigillato potrebbe chiarire l’enigma. La mole dei documenti da consultare è impressionante. Venti archivisti hanno lavorato 14 anni a sistemare il dossier di 2 milioni di carte, di cui un milione 300 mila digitalizzate e già fruibili in formato elettronico. Riguardano i diciannove anni di regno di papa Eugenio Pacelli, il secondo più lungo del ‘900 dopo quello di Giovanni Paolo II.

La documentazione riguarda il conflitto mondiale, rapporti, trattati, ratifiche, opere umanitarie e di assistenza, relazioni politico-religiose, questioni scolastiche riguardanti il Vaticano e l’attività diplomatica degli stretti collaboratori di Pio XII. Spiccano i 170 fascicoli sugli ebrei con circa 4 mila nomi e la sezione “Aiuto e assistenza ai profughi per motivi di razza e di religione” dal 1938 al 1946. Un fascicolo del 1941 intitolato “Documentazione inviata dal nunzio apostolico in Germania a prova della manomissione dei sacchi postali vaticani da parte delle autorità naziste” testimonia che l’ambasciata del papa in Germania era controllatissima dai servizi segreti tedeschi. Oltre 150 studiosi da tutto il mondo si sono prenotati per la consultazione.

Tra questi David Kertzer, studioso e storico di fama mondiale, premio Pulitzer per il libro Il patto con diavolo in cui racconta la storia dei rapporti tra Mussolini e Pio XI, il predecessore di Pacelli. “La domanda è come sia stato possibile uccidere milioni di persone nella civile Europa – ha dichiarato Kertzer in un’intervista a La Stampa – forse l’apertura degli archivi ci consentirà di conoscere meglio come si comportò la Chiesa. Ma non possiamo prescindere dalla storia già scritta. Pio XII non protestò contro le leggi razziali del 1938, seppellì l’enciclica di Pio XI che doveva esprimersi a favore degli ebrei contro l’antisemitismo e non spese una parola sulle deportazioni. Lui sapeva che milioni di cattolici tedeschi erano nazisti e temeva che criticando il nazismo avrebbe rischiato uno scisma nella Chiesa”.

La sfida più complessa è chiarire i motivi del silenzio di Pio XII sull’Olocausto, conferma Lisa Palmieri-Billig, rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’American Jewish Committee, “un silenzio che si protrasse inspiegabilmente nel dopoguerra”, quando Pacelli scomunicò il comunismo. Sul tema dello sterminio degli ebrei durante il pontificato di Pio XII esistono due opposte scuole di pensiero. Da un lato chi sostiene che il papa fece tutto il possibile per salvare la vita degli israeliti e delle popolazioni cattoliche dell’Europa minacciata dal nazismo e che si sia guadagnato i titoli per essere proclamato beato, passaggio obbligato verso la dichiarazione di santità.

Dall’altro chi ritiene che egli non fu all’altezza del grave momento storico, che non alzò la voce per fermare le persecuzioni limitandosi a chiedere la grazia per gli ebrei convertiti al cattolicesimo o per i coniugi ebrei dei cittadini cattolici. E che non meriti pertanto la canonizzazione. Il processo di beatificazione fu aperto il 18 novembre 1965 su iniziativa di Paolo VI ed è tuttora in corso. Quando Benedetto XVI proclamò le virtù eroiche di papa Pacelli nel 2009, le associazioni ebraiche giudicarono deprecabile che la causa di santità venisse portata avanti prima di poter studiare le carte custodite in Vaticano. E papa Francesco le ha accontentate.

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