Dopo le recenti elezioni europee s’è aperto un nuovo ciclo quinquennale per il nostro continente con la necessità di innovazione e investimenti in misura ragguardevole per superare la crisi perdurante. Sul triplice versante del progetto di unificazione euroavversari ed euroscettici, eurodogmatici, euro da definire razionali, ancorati alla concretezza. Lo scorso 25 marzo 2017 i leader degli Stati membri in occasione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma hanno sottoscritto una Dichiarazione al proposito. Nella prospettiva della costruzione europea federalismo, confederalismo e funzionalismo si integrano e si compongono. Metodo comunitario e metodo intergovernativo invero non hanno un’applicazione sempre uniforme e si hanno due funzioni cruciali indipendenti: la giustizia (Tribunale di primo grado e Corte di giustizia) per un verso e per l’altro la moneta (euro e BCE). Senza Draghi, Presidente di quest’ultima, la crisi economica sarebbe diventata istituzionale. Per contrastarla l’intervento pubblico sarebbe dovuto aumentare dopo il 2008, mentre è successo il contrario: tra il 2007 e il 2018 c’è stata una riduzione di 4.400 miliardi di euro a prezzi correnti. La quota del PIL per gli investimenti, che era del 23,4% nel 2007 è risultata del 21,6% nel 2018. Simile l’andamento dell’area euro: dal 24,1% nel 2007 si è passati al 21,6% nel 2018.
Tutto questo si colloca nello scenario di tre grandi sfide che ci attendono: 1) la nuova rivoluzione legata agli effetti pervasivi di intelligenza artificiale, big data, genomica e biotecnologie ; 2) cambiamenti climatici ed esaurimento progressivo delle risorse che postulano un nuovo paradigma di sviluppo; 3) dinamica demografica del continente africano (nel 2050 da una popolazione di 1,3 miliardi si attesterà su 2,5 miliardi di abitanti, con movimenti migratori ingestibili). Perciò vanno intensificati gli sforzi, mirando ad es. agli obiettivi di sviluppo sostenibili adottati dall’ONU nel 2015. Va evitata ad ogni costo la stagnazione.
Con l’elezione di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione si è determinata una scelta europeista contro i sovranismi antieuropei. La neopresidente ha formulato un programma che identifica sei assi di azione prioritari: 1) un green deal europeo; 2) un’economia attenta alle persone: 3) un’Europa disposta all’era digitale ; 4) protezione per il nostro stile di vita europeo; 5) un’Europa più forte nella dimensione mondiale; 6) un nuovo slancio per la democrazia europea. Questi gli aspetti cruciali del XXI secolo: clima e ambiente per un verso, rivoluzione digitale e innovazione per l’altro. Più investimenti e più infrastrutture sia materiali che immateriali. Non convincono solo regole di rigore nei bilanci pubblici o l’enfasi posta sui consumi interni, mentre le esportazioni sono ora minacciate dal neoprotezionismo. Occorre un piano di investimenti per un’Europa sostenibile (di mille miliardi di euro in dieci anni) e vanno sfruttate le opportunità dell’era digitale a garanzia della sicurezza e rispetto dell’etica. Purtroppo il bilancio dell’UE ammonta a soli 140 miliardi per coprire tutte le spese. Significativo l’accento posto sull’istruzione intesa anche come inclusione.
La BCE oggi detiene quasi 2 mila miliardi di titoli pubblici di Paesi dell’UEM (area euro). Per soccorrere glòi Stati membri in crisi inoltre nell’UEM si è data vita a due fondi finanziari: Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) e Meccanismo europeo di stabilità (ESM, 2012), sottoutilizzato. Il Piano Juncker, lanciato dalla Commissione europea nel 2014, è partito con garanzie finanziarie minime di soli 33,5 miliardi di euro. Al fine di mettere in sinergia queste componenti bisogna passare all’emissione di eurobond (tema già introdotto dal 1993 da Jacques Delors, allora Presidente della Commissione). In ragione della liquidità in circolazione e dei tassi di interesse così bassi le emissioni di eurobond troverebbero facile collocazione. La Cina poi desidera ridurre l’esposizione in titoli di Stato statunitensi denominati in dollari.
Draghi ha salvato con la sua politica monetaria l’euro, l’eurozona e la stessa Unione Europea. Purtroppo ora l’Europa rallenta, onde il bisogno di politiche di bilancio e strutturali anche più incisive. Il patto di stabilità e crescita è stato reso flessibile, ma non basta. Chi, come la Germania, dispone di margini di bilancio espansivi, sia richiamato alla sua responsabilità. Per l’Italia si impone il monito d’una ricomposizione delle finanze pubbliche. Ci vogliono comunque cambiamenti epocali.
Per il 2050 si prefigura una popolazione mondiale di 10 miliardi di persone. Nuove potenze economiche avranno un peso preponderante sul PIL mondiale: la Cina conterà per il 20%, l’India per il 15%, gli Stati Uniti scenderanno al 12%, l’Unione Europea al 9%. Per l’Europa l’Africa rappresenta una priorità e una potenzialità. Da 1,3 miliardi di abitanti raggiungerà i 2,5. La somma dei nostri aiuti pubblici è notevole, ma purtroppo parcellizzata. Vanno chiamate in causa la BEAS (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) e la BEI per esprimere un solidarismo innovativo straordinario. L’Europa infine deve offrire un contributo determinante per attenuare i rischi globali, concorrendo a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibili inseriti nell’agenda 2030 dell’ONU contro le tentazioni del nazionalpopulismo e deve assicurarsi una presenza unitaria nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. Si agisca a difesa di un sistema multipolare, rinunciando ad essere un terzo polo divisivo tra USA e Cina.
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