(O) Che cosa saremo e che cosa faremo dopo la pandemia? Qualcuno voleva parlare di futurologia?
(S) Ma ti pare che sia già ora di pensare al dopo? Io penso a proteggermi, a stare in casa, a cercare di approvvigionarmi del necessario. Semmai è già ora di ringraziare concretamente, vorrei dire materialmente, chi ci sta aiutando, esponendosi veramente; medici e infermieri, lavoratori delle farmacie e degli alimentari, protezione civile e forze dell’ordine, insomma tutti quelli che stanno lavorando.
(C) Io parlo volentieri del dopo, per una ragione semplice, che spero che ci sia per me un dopo. Non voglio fare il tragico, ma sinceramente ringrazio il cielo di avermi fatto nascere italiano e lombardo, nonostante mi trovi nell’epicentro europeo dell’epidemia, piuttosto che inglese. Fatto un rapido calcolo, se fossi là e B. J. e i suoi consulenti mantenessero l’intento di arrivare all’immunità di gregge, non sarei per niente sicuro di riuscire ad arrivare io a veder il gregge delle pecorelle del presepio del prossimo Natale.
(O) Fuori il prato è giallo di primule e la siepe di forsizia è nel pieno dello splendore. Da qualche anno, proprio nel momento in cui vedo questo spettacolo gratuito, mi chiedo quante volte potrò ancora godere di questo dono. È che il ritorno della primavera, più di ogni altro cambiamento di stagione, mi scandisce il tempo e riapre la ferita del sentirsi effimero. Penso a qualche amico che ci ha lasciato da poco, a qualche altro che proprio adesso sta lottando col virus, ad altri amici e parenti con qualche malanno o qualche anno in più (gli anni sono malanni) che sarebbero nei guai se la maligna corona li raggiungesse. Mi chiedo, per cominciare, se il mondo sarà migliore, dopo questa prova e se, alla fine, quando comunque lo lascerò, questo mondo sarà migliore di come l’avevo trovato.
(S) Non cominciamo con i sentimentalismi, si finisce a comportarsi come personaggi di una tragedia greca o, al contrario, ad accontentarsi di avere un cane da portare a spasso, (suggerimento di Gramellini). Bisogna essere realisti e razionali. Il ‘dopo’ è un problema di gente più giovane di noi. Adesso, l’unico problema che ho è non ammalarmi. Poi spero che ‘dopo’, se l’avrò un dopo, non debba essere avvelenato dalla tristezza di aver perso tanti amici, dal pensiero di non aver fatto abbastanza, appunto, per lasciare un mondo migliore di come l’avevo trovato. Se fossi in Gran Bretagna non dovrei pormi questo problema: da loro qualcuno ha deciso che il mondo sarà migliore senza troppi anziani. Del resto hanno già fatto così in qualche caso di bambini gravemente disabili, negando loro le cure, anche a pagamento o all’estero, per ordine di un giudice, pur contro il volere dei genitori.
(O) Dissero allora: “per non infliggere al bambino stesso l’inutile sofferenza di una sopravvivenza senza scopo”. Ci toccherebbe riprendere il discorso sul nichilismo.
(S) Ma quali discorsi! È una guerra, lo dicono ormai in tanti. E in guerra capita di trattare tutti come nemici, attuali o potenziali, oppure di scoprirsi amici, per amore o per convenienza, cambiando idea, sentimento o alleanza in men che non si dica. Il primo problema del dopo sarà insieme economico e politico ed è un dopo fortemente influenzato da un ‘adesso’, dalle decisioni che molti attori prenderanno nel ‘durante’. Certi signori sanno che stanno mettendo a rischio l’economia mondiale, a cominciare da quella europea e in questo ambito, dalla più fragile, quella italiana? Ma sanno a Francoforte e a Berlino che dalle difficoltà italiane, ammesso che saranno più gravi di altre (possibile, visto il peso del debito pubblico) nasceranno difficoltà ancora più gravi per l’UE? Resisterà l’Euro? Sopravvivrà l’industria manifatturiera europea o resterà in piedi solo quella tedesca, corroborata dall’iniezione di 500 miliardi di denaro pubblico, a fronte dei nostri 25 destinati a tutti i problemi del Paese e non solo all’economia? Quanti disoccupati ci saranno? Ci sarà ancora uno stato sociale? Quale avvenire per i giovani?
(C) Purtroppo non so risponderti, né conosco chi potrebbe farlo con certezza, su questi specifici argomenti, che sono tanto economici, quanto politici. Ripeto un concetto che ho utilizzato altre volte in contesti assai più banali, come le partite di calcio: una impercettibile casualità, come le mutazione di un virus o la deviazione sul palo o anche un errore, da soli non sempre producono effetti importanti, ma se si concatenano in una pluralità, ci scappa il gol in campo e il patatrac in Borsa. Così, nella situazione attuale la casualità imprevedibile, la mutazione che ha creato il covid 19, poteva essere piccola e contenuta, se non fosse stata minimizzata e tenuta nascosta dal governo cinese e poi dagli altri governi, principalmente europei e … e vedremo da quanti altri ancora. Subito dopo alla sottovalutazione è subentrato in Europa il concetto che fosse ‘colpa’ dell’Italia, della sua impreparazione e che bastasse chiuderci in un angolo per restare immuni. Pare si siano già pentiti e malvolentieri si adeguano alle misure più coercitive. Poi succede un fatto che non è correlato (almeno spero) al contagio: la guerra al ribasso del prezzo del petrolio, innescata dall’Arabia Saudita, contro ogni storia e ragione dei paesi produttori. Quest’ultima azione, già destabilizzante di per sé, è diventata devastante perché attuata in contemporaneità, (volutamente?) con il rilevante rallentamento dell’economia dovuto alla pandemia. Aggiungiamo altri errori e piccole casualità nella gestione domestica dell’ epidemia e arriviamo alla gaffe di Madame Lagarde, innocua in altri contesti, devastante in questo, perché getta un ombra di sospetto sulle intenzioni politiche di chi l’ha ispirata.
Dopo questa ricostruzione di casi imprevedibili e di sciagurati errori umani, torno a riprendere il discorso sul nichilismo, nel suo più radicale ed insieme volgare assunto: se tutto questo accade, dicono i disperati, è perché Dio non esiste o non è quel padre buono che il cristianesimo annuncia. Più profondamente: perché l’uomo, prodotto del caso più imprevedibile che si possa immaginare, non è comunque in grado di dare un significato vero alla sua esistenza e all’esistenza di un mondo siffatto.
(O) In realtà, dal punto di vista soggettivo, cioè della mia personale, singolare esistenza, non riducibile alle leggi dell’economia o della microbiologia, a me, di tutto quello che hai detto potrebbe importare pochissimo. Non niente, perché ho famiglia, figli e nipoti e anche amici, della cui sopravvivenza e felicità in un mondo futuro, qualcosa m’importa, ma, come dicevo prima, questo senso di precarietà della vita, d’impermanenza, indotto dal ritorno festoso dei colori della primavera in un mondo moralmente così grigio, mi provoca una lacerazione interiore. Non dico una paura, per esempio la paura di morire o che muoiano persone a me care. Devo definirla ANGOSCIA, lo smarrimento che nasce dal sospetto che tutto sia insensato. È il contrario della fede, non solo di quella cristiana, ma della fede come tale, di qualunque fede, religiosa o laica. Tornando ai bravi Britannici, potrebbero aver ragione loro a gestire in quel modo l’epidemia, con un’etica utilitaristica, solo dando per scontato un fondamento nichilistico dell’esistenza, passivo nel popolo che accetta senza ribellarsi, ma consapevolmente attivo e perciò responsabile, nell’élite culturale e nei governanti.
(C) Ti spiace chiarire meglio la differenza tra paura e angoscia?
(O) Paura è il sentimento e anche la reazione fisica che mi prende di fronte ad un pericolo possibile, ma determinato. Per esempio, quando da giovane praticavo l’alpinismo, mi sono trovato in molte situazioni in cui ho avuto paura. In un certo senso sempre, spesso anche prima d’incominciare una scalata. Valutavo però l’impegno necessario, le mie capacità, i rischi oggettivi e quelli imprevedibili e arrivavo alla conclusione di fare o non fare. Paura e coraggio restavano inseparabili, nell’agire come nella rinuncia. Questo confronto è insieme un duetto e un duello, in cui però chi vince non annienta l’altro. Superato l’ostacolo, la paura si convertiva in gioia, più grande la difficoltà, più grande la gioia. La fede invece, quando combatte con l’angoscia, o vince o perde. Se vince, vince la vita, se perde … non so dirvi, non ho mai fatto questa esperienza. Sembra, in letteratura, che ci siano due esiti, la disperazione e lo scetticismo. La prima, Kierkegaard l’ha definita ‘la malattia mortale’, è la più penosa malattia individuale; il secondo è quel morbo sociale che ci fa prendere le decisioni più sbagliate nella realtà, è quel presupposto che anticipa e dà forma a tutte le ideologie, consentendo di attenuare e di nascondere del tutto il nichilismo di fondo.
(S) Da quel che dite, le mie domande sociali e politiche non avranno risposta. Non andate oltre il livello dei bisogni personali,
(C) L’avranno certamente, la realtà dà sempre una risposta; quale, però, dipende dal libero agire di tanti soggetti, dei governi, degli attori dell’economia e della finanza e infine delle singole persone. Ma spero, anzi vedo come una possibilità e insieme un dovere, un nuovo impegno per i cattolici in politica e nel sociale; un impegno comunitario e strutturato, non un volontariato individuale e moralistico. Ci sarà il dovere di ricostruire, come dopo la guerra. Allora potrebbe realizzarsi la speranza espressa dal nostro Direttore nell’editoriale metà febbraio, quando non c’era neanche il lontano sospetto del flagello che stava per abbattersi sul mondo intero e la questione che pareva mandare a gambe all’aria l’Italia era quella della prescrizione: IL Direttore auspicava il radunarsi dell’impegno politico e sociale dei cattolici attorno ad uno sconosciuto ‘Asimbonanga’ per “dar vita a una, forse prodigiosa, sfida: il ‘duello conflixere mirando’ del Vangelo di Giovanni”. Come allora, l’impegno istituzionale dovrà essere sostenuto dalla libertà di tanti, tra cui te stesso, e non potrà valere il rifugio nella scelta del male minore, un opportunismo da ‘votate turandovi il naso’, ma per tutti un impegno consapevole e decisivo persino per il significato della vita di ciascuno.
(O) Però … Nessuno più di me sogna l’avverarsi di una simile possibilità, ma c’è una condizione. Avere una fede forte nella vittoria di Cristo. Una vittoria già avvenuta in un tempo determinato della storia e tuttavia di portata non contingente. Infatti il “duello” di cui parla il Direttore è una citazione dal ‘Victimae Paschali Laudes” una sequenza medievale che fa parte tuttora della liturgia pasquale. Troppo bella per non offrirvela tutto:
Victimæ paschali laudes immolent Christiani. Agnus redemit oves: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores. Mors et Vita duello conflixere mirando: Dux Vitæ mortuus, regnat vivus. Dic nobis, Maria, quid vidisti in via? Sepulcrum Christi viventis, et gloriam vidi resurgentis, Angelicos testes, sudarium et vestes. Surrexit Christus spes mea: præcedet suos in Galilaeam. Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: Tu nobis, victor Rex, miserere. Amen. Alleluia.Alla vittima pasquale si innalzi il sacrificio di lode, L’Agnello ha redento il gregge, Cristo l’innocente ha riconciliato i peccatori col Padre. Morte e Vita si sono affrontate in un duello straordinario: il Signore della vita era morto, ora, regna vivo. Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via? La tomba del Cristo vivente, la gloria del risorto; Gli angeli suoi testimoni, il sudario e le vesti; Cristo mia speranza è risorto e precede i suoi in Galilea. Siamo certi che Cristo è veramente risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluia.
(C) Seguendo il suggerimento di Onirio, posso tranquillamente affermare che, se l’Europa si è risollevata dall’orrore di una guerra combattuta contro la più nichilista delle ideologie e dalla drammatica divisione che ne conseguì, fu grazie alla fede nella vittoria finale del Signore della vita. Come non credere che possa risollevarsi materialmente e moralmente dall’attacco di un virus, non avendo oggi nessun vero nemico, se non questo strisciante nichilismo passivo, vera ideologia dominante, che ispira il cieco egoismo degli Stati e dei suoi stessi cittadini?
(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante
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