L’Italia ha gravi mancanze nell’ordinaria amministrazione ma è eccezionale nelle emergenze. Questa opinione molto diffusa è confermata dalla storia del nostro Paese e dal 62% degli italiani che condividono la linea del governo che pure ha imposto restrizioni mai viste.
Nello sforzo di far accettare meglio il nostro nerissimo quadro, molti intellettuali e scrittori fanno a gara nel dirci che, “dopo”, crescerà il nostro orgoglio nazionale, spesso sotto i tacchi, che nulla sarà più come prima in quanto saremo più maturi e consapevoli: opera meritoria per infondere fiducia.
Si può aggiungere che anche la situazione politica pre-esistente, se non sarà totalmente azzerata, risulterà però cambiata negli umori, nelle priorità, nelle prospettive. Basti pensare che il flagello non è arrivato sui barconi dall’Africa ma in business class passando da chissà dove. Ma di questo si discuterà molto a tempo debito.
La domanda vera da porsi è se aumenterà l’identificazione del popolo con il Paese, cioè il senso dello Stato. È di questo che ci sarà un gran bisogno. La sanità migliorerà ulteriormente. Le fabbriche, quasi tutte, riapriranno. Gli artigiani lavoreranno 12 ore al giorno. Imprenditori e lavoratori discuteranno sui salari e sulle condizioni di lavoro ma troveranno l’accordo.
Affinché questo avvenga, e avverrà, ci sarà bisogno dello Stato, questa entità spesso negletta, sempre criticata, che si vorrebbe estranea quando si presenta in forme coattive, eppure così importante. La percepiremo come l’orco delle tasse o la accetteremo come una presenza insostituibile da supportare con un sentimento positivo?
Oggi ci rallegriamo perché l’odiato “Patto di stabilità” europeo, che pure ha fatto bene all’Italia in moltissimi frangenti, è saltato. Ma quello non era solo un vincolo esterno, rappresentava anche il modo di stare a galla nell’epoca della globalizzazione e dei mercati che ci prestano il necessario per vivere.
Bisognerà pagare il conto, “dopo”, di un’economia disastrata e di un enorme sforzo finanziario dello Stato per la sanità, per le famiglie, per la ripresa produttiva. Il sogno di pagare tutti meno tasse svanirà, la flat tax finirà in soffitta, la progressività fiscale riguadagnerà consenso, si riparlerà dell’odiata “patrimoniale”.
Tante domande si affastellano. Gli evasori continueranno ad essere visti solo come “furbi” invece che come malfattori? Si sarà capaci di rilanciare le locomotive del Nord e insieme di capire che senza solidarietà con le altre aree geografiche più povere non si va lontano?
Dopo la guerra tutta l’Italia è ripartita perché sentiva di essere dentro lo stesso destino malgrado le fratture politiche. Yalta, certo, con l’assegnazione del nostro Paese all’Occidente democratico. Ma anche la forte coscienza della nostra comune appartenenza storica.
Una situazione completamente diversa, ovviamente, ma evocarla serve a sottolineare che un maturo sentimento nazionale è decisivo nei frangenti drammatici. Lo chiamo senso dello Stato.
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