La generazione Z è in gran parte composta dai figli della generazione X. Non è l’incipit di un romanzo di fantascienza ma la sintetica definizione data dagli studiosi dei nostri giovani, per i quali risulta già obsoleto l’appellativo di nativi digitali. Per il compimento dei loro 18 anni organizzano grandi feste: un vero must, come si dice. Basti pensare che l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha calcolato che per un festeggiamento “standard” vengono spesi circa 1800 euro. Il dato è del 2018 ed è in aumento la tendenza per questo rito di passaggio alla maggiore età. Fenomeno socio-economico e psicologico da non sottovalutare. Quasi sicuramente per questi “nuovi adulti” risulta misteriosa la Legge n. 3 dell’8 marzo 1975. E forse lo è anche per i loro genitori.
Eppure quel testo ha segnato una tappa significativa. La Legge aveva come titolo: Attribuzione della maggiore età ai cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno e modificazione di altre norme relative alla capacità di agire e al diritto di elettorato.
A distanza di quarantacinque anni è quasi un dovere civico ricordare il voto dato ai diciottenni durante il IV governo Moro. Giovanni Leone era Presidente della Repubblica, la Democrazia Cristiana aveva alla Camera la maggioranza con 266 parlamentari, il PCI era all’opposizione con 166 onorevoli. La Legge fu firmata dal democristiano Luigi Gui, ministro degli interni e dal Guardasigilli, Ministro di Grazia e Giustizia Oronzo Reale, repubblicano.
Siderale sembra la distanza da quel mondo e può apparire quasi inutile ricordare quella Legge. Ma rileggere – a mo’ di esempio- un articolo del 7 marzo di quell’anno de Il Resto del Carlino intitolato “Si voterà a diciotto anni” può essere un buon esercizio di analisi politica e sociale. Merita,dunque,riportare buona parte di quell’articolo. L’approvazione alla Camera, in via definitiva, della Legge fu – vi si può leggere – “ una svolta epocale che nasce anni prima e affonda le sue radici nella contestazione giovanile del ‘ 68-’69.
Sì, perchè – come spesso e volentieri accade nel Parlamento Italiano- la vicenda ha una gestazione molto lunga e sofferta”. Potremmo fare un cenno al clima sociale e culturale, ricordando semplicemente l’8 marzo del 1972. In quella data ventimila donne manifestarono a Roma,a Campo dei Fiori, con slogan del tipo “partoriamo idee non solo figli”. Il pacifico corteo fu sciolto dall’intervento non pacifico della polizia. Un fatto non solo di cronaca ma indicatore di quei momenti storici,forse un po’ troppo velocemente dimenticati. Ecco che allora diventano significative le parole de Il Resto del Carlino, quando afferma che la legge con la quale si abbassava la maggiore età era un modo per i partiti del centro-sinistra di incanalare la protesta su binari democratici, trasformandola, cioè, in proposta e si coinvolgeva i giovani nel momento più alto di una democrazia, quello elettorale.
L’articolo continuava ricordando che quel ragionamento era condiviso da molti ma non dalla D.C.che proprio non riusciva a cogliere gli umori di quei ragazzi. Insomma ripensare a quell’ 8 marzo non significa solo un omaggio di maniera ad una ricorrenza ma avere uno strumento in più per leggere il nostro presente. Anche per non dare nulla come scontato. Sapere che in Iran e in San Salvador non solo è diversa l’età in cui si diventa maggiorenni ma che il raggiungimento è ancora distinto per uomini e donne non è solo curiosità.
Capire la scelta giapponese non solo di abbassare da venti a 18 anni il diritto di voto, come avvenne nel 2015, ma anche di ampliare, a partire dal 1 aprile 2022, i diritti ai diciottenni vuol dire non rinunciare al confronto anche di quanto sembra, come detto, scontato.
E forse anche da ciò si può partire per capire meglio, senza giudizi o pregiudizi, i nostri diciottenni, al di là delle loro feste.
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