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Cara Varese

STELLE SPORTIVE

PIERFAUSTO VEDANI - 13/03/2020

gandiniUmberto Gandini, un tempo apprezzabile giocatore di hockey nella sua natia Varese, in seguito eccellente dirigente sportivo della serie A calcistica con anni di attività nel Milan e nella Roma, noi giornalisti varesini lo pronosticavamo futuro collega: perché? Non solo perché aveva personalità ed equilibrio, ma perché il nonno era stato direttore della Prealpina e in seguito anche un forte riferimento per l’edizione del lunedì del nostro storico quotidiano. Nonno Mario infatti fu un perfetto maestro per la figlia Anna Maria che, giornalista professionista, sarebbe diventata per decenni eccellente corrispondente da Varese del Corriere della Sera e voce amica dell’ascoltatissimo Gazzettino Padano della Rai.

Anna Maria non ha mai sponsorizzato il figlio che ha scelto da solo il suo percorso di vita, lavorando con l’impegno, il fiuto, l’apertura mentale di un mondo che ben conosceva e avendo pieno rispetto degli studi che aveva fatto. Del nonno e della mamma ha sempre avuto la prudenza e la riservatezza che gli sono valsi prestigiosi traguardi come manager, ultimo dei quali la recente nomina a guida del nostro basket.

Umberto al timone della Lega cestistica in un momento in cui c’è scontro con la federazione per la prosecuzione del campionato essendoci in atto la seria epidemia che preoccupa tutti e nello sport comporta prospettive non positive dal punto di vista gestionale sia per la federazione, sia per le società che a livello professionistico hanno impegni finanziari non da poco.          A Umberto complimenti per l’incarico e auguri cari, da girare anche alla nostra Anna Maria.

Accennare alle dimensioni e ai problemi del basket odierno mi riporta agli anni del Dopoguerra, al balzo di Varese verso la serie A, e prima ancora di quando si giocava all’aperto anche nei mesi invernali temendo però più la pioggia del freddo. Ricordo un Cantù – Milano degli Anni 50: sembrava una corsa di motoscafi sul campo brianzolo di piazza Parini.

Erano tempi in cui non solo non perdevo la grandi partite in Lombardia, ma non mi lasciavo sfuggire nemmeno qualche derby a Bologna. Iniziata la professione di giornalista avrei collezionato una serie di domeniche appassionanti. Abitavo a Como, gli ottimi collegamenti ferroviari mi consentivano trasferte anche a Venezia, andata e ritorno, nell’arco di una dozzina di ore partita compresa. Varese era la città dei miei nonni paterni, venivo volentieri e spesso dopo aver constatato la crescita della squadra e l’attenzione dei tifosi. Quelli della palestra di via 25 aprile erano il sesto uomo in campo. Con la Ignis l’amore non sarebbe diminuito, anzi. E anche oggi c’è lo stesso fuoco, si può dire che assieme a importanti attività industriali, commerciali e culturali Varese anche nello sport si sia data una bella tradizione. E va rimarcato che molto qui da noi varesini, nativi o adottivi, viene continuamente dato alla comunità regionale o nazionale.

L’ ultimo bosino da… scudetto che ha attirato l’attenzione del mondo è l’ing. Davide Leva, al quale si deve la perfetta tecnologia che segnala movimenti anche minimi di montagne. Queste macchine sono state adottate da nazioni che hanno parti del loro territorio “ballerine” ed è necessario un controllo costante. Davide Leva lo garantisce.

Anche grazie a questo eccellente studioso possiamo dire con orgoglio “Forza Varese!”. Sull’aria de “I ragazzi del Pireo” tanti anni fa il coro dei tifosi gialloblu ringraziava i giocatori protagonisti dei primi due scudetti. Siamo stati grandissimi, ma è difficile risalire, se non altro per difendere quello che è stato e sempre sarà nostro.

Celebrando Meneghin con il ritiro della sua maglia numero 11- ottima iniziativa – Milano ha ricordato la carriera strepitosa di Dino. Un paio di pagine per raccontare la sua avventura sportiva conclusasi appunto a Milano, dove però non ha vinto, per numero e importanza, i trofei collezionati a Varese. Qui da noi ovviamente ha potuto esprimersi negli anni più favorevoli per un atleta. Da parte della Varese pubblica forse per gli assi dello sport qualche cittadinanza in meno e un motivato ricordo nell’ambito della loro attività. Che ci ha regalato anni indimenticabili. E che noi, stampa compresa, dobbiamo ricordare alle nuove generazioni.

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