In via Robbioni, a Varese, all’angolo con via Speri Della Chiesa. Qui Laura Benizzi, insegnante di musica, aveva aperto la sua scuola. Era da poco finita la guerra e la fisarmonica rappresentava quella voglia di allegria, quella fame di lasciarsi tutto alle spalle.
Nata a Rimini, approdata per studi a Milano negli anni della guerra, Laura Benizzi era arrivata a Varese, sfollata, accompagnata dalla anziana madre o zia, non ricordo. Gli inizi a Varese non dovevano essere stati facili per lei, in quegli anni. Accusata di collaborazionismo, subisce un processo. Come scrive Franco Giannantoni nel suo libro “I giorni della speranza e del castigo”: “Laura Benizzi, 38 anni, milanese sfollata a Venegono Superiore, insegnante di musica, aveva rivendicato la sua appassionata militanza repubblicana, ma aveva respinto le accuse di collaborazionismo con l’Upi-Gnr e negato di avere denunciato alcune persone a causa della loro azione antifascista”. Da queste vicende il 15 febbraio 1946 Laura Benizzi verrà assolta “per insufficienza di prove” dalla Corte d’Assise, sezione speciale di Varese. Ne uscirà provata.
Donna di grande cultura umanistica e musicale, diplomata in pianoforte e violino al Conservatorio di Milano, nonostante queste “difficoltà” del dopoguerra aveva deciso di fermarsi a Varese e di dedicarsi all’insegnamento della musica. Aveva intuito che lo strumento del momento, quello che poteva rappresentare meglio il nuovo corso della storia, era la fisarmonica. Si diceva che la fisarmonica facesse concerto da sola. E “la Benizzi”, così veniva chiamata, aveva colto che questo strumento poteva unire l’anima popolare, quella che spinge al ballo e che sottolinea la festa, alla cultura musicale colta, quella sinfonica. E, in quegli anni, la voglia di musica era esplosa.
Avevo iniziato anch’io a cinque anni, con la fisarmonica. Perché così stavo un po’ fermo, mi dicevano. Poi, come un passaggio normale, ero stato iscritto “dalla Benizzi”. Alla fine della scuola dai salesiani, lezioni di musica tutti i giorni, dalle quattro alle cinque. Studi di teoria e solfeggio con il maestro Stella, sui testi di Luigi Oreste Anzaghi. I ragazzini parlavano, come fosse un discorso normale, di come ottave ascendenti, di sensibile, di somigliante minore e cose del genere. E poi scale, arpeggi e poi ancora scale e arpeggi, avanti e indietro, con la destra e la sinistra, prima di suonare qualcosa che avesse una qualche fruibilità.
Ma anche l’ambiente era allegro. Più che ad uno spensierato oratorio, la scuola “della Benizzi” era una specie di collegio di gesuiti, in cui si era allegri ma insieme rigorosamente applicati alla musica, sia singolarmente che in complesso. E in pochi anni, a Varese, in questo campo “si è fatta la storia”, come aveva scritto La Prealpina. È stato un fenomeno simile a quello della pallacanestro, negli stessi anni: una cittadina di provincia che aveva espresso grandi talenti e conseguito risultati importanti portando in alto il nome di Varese. Vittorie una dietro l’altra ai campionati italiani, campionato mondiale vinto in Olanda nel 1955 da Luigi Luoni, vittoria di Noemi Gobbi al “Trophee Mondial de l’Accordeon” in Germania, tanto per citarne qualcuno. E avanti con decine e decine di premi e riconoscimenti.
Ero un fisarmonicista diligente, scolastico, ma di scarso talento, come buona parte degli allievi, ad essere sinceri. Ma saper muovere le mani su uno strumento era cosa bella. E saper qualcosa di musica non era male. Per il complesso andavo bene, nel gruppo, con brani sinfonici adattati dalla Benizzi per fisarmonica o con pezzi della tradizione virtuosa della fisarmonica, tango e Polka o Rossini adattato. Da solista, con la mia Scandalli bianca, il pezzo forte era la “Mazurca Variata” di Migliavacca, che accarezzava il giusto stupore del pubblico, soprattutto se suonato da un bambino, tanto da sembrare più difficile e virtuoso di quanto fosse in realtà. E, unica concessione alla “musica leggera”, la “Canzone da due soldi” scritta da Pinchi e Donida e presentata nel 1954 al festival di Sanremo cantata da Achille Togliani e Katyna Ranieri, canzone che piaceva particolarmente alla Benizzi (e a mia mamma), forse per quella sua struggente malinconia. Sì, perché si capiva bene che la Benizzi fosse legata ad alcune linee guida precise: la ricerca di una esecuzione puntigliosamente precisa in ogni dettaglio, la concessione al piacere del pubblico con la scelta di brani in cui il virtuosismo dell’esecutore potesse trovare espressione e, per ultima, la presentazione di brani che esprimessero una dolente malinconia. Fossero stati anni successivi, avrebbe amato Piazzolla.
La Benizzi riempiva un vuoto della scuola pubblica, che ignorava la musica e la rendeva vicina e tutto sommato facile. E non era da poco. Il successo di quella scuola fu enorme.
Erano gli anni, quelli, in cui si erano affacciati dalla Benizzi in particolare due veri talenti: Noemi Gobbi e Flavio Premoli.
La Gobbi, figlia della prestinaia di piazza Carducci, era una esuberante ragazzina, cicca in bocca e grande allegria. Ma con la fisarmonica in spalla era un vero talento, qualcosa di magico, come se sapesse entrare nella musica, insinuarsi nel rigo tra diesis e bemolle, con una facilità dovuta ad un particolare oscuro dono. Nei campionati, quando tutti eravamo travolti dall’emozione, manteneva una invidiata tranquillità. Suonava sicura, ringraziava e vinceva. Un talento, dicevo.
E non a caso la sua carriera professionale ha confermato queste sue doti di quegli anni. Passata al pianoforte, dopo gli anni della Benizzi, diplomata con lode al Conservatorio “Verdi” di Milano aveva iniziato la sua carriera di concertista in giro per il mondo. Ai concerti aveva poi affiancato l’insegnamento prima al Conservatorio di Padova, poi al Conservatorio di Como.
Altro talento, davvero un “genio della musica” (come disse poi il maestro Stella), Flavio Premoli. Suo padre vendeva auto Lancia e sua madre dai folti capelli biondi lo accompagnava ad ogni lezione, sedendosi appartata. Era il più piccolo di tutti, nel complesso “Città di Varese”. Non so quanti anni avesse, cinque forse, e spuntava appena dietro quella fisarmonica “Soprani”. Ma si era capito subito che aveva una marcia in più, che era “posseduto” dalla musica, nella sua disarmante facilità di apprendimento e nella sua capacità interpretativa, spontanea e naturale. Per questo, aver seguito in anni successivi in un percorso musicale di grande rilievo è sembrato un fatto addirittura scontato. Avvicinatosi alla musica beat alla fine degli anni sessanta, dopo una prima esperienza con “I Cuccioli” accanto a Danilo Franchi e a Vittorio Giorgetti, a soli diciassette anni era entrato ne “I Quelli” che attraverso passaggi successivi formeranno la “Premiata Forneria Marconi”, con la quale ha firmato gran parte dei brani insieme a Mussida e Pagani. Dopo importanti collaborazioni con Fabrizio De Andrè, era poi diventato il produttore di Rossana Casale e Luca Barbarossa e aveva scritto brani per Anna Oxa e Fiordaliso. Premoli aveva successivamente composto colonne sonore per musical, per fiction televisive prodotte da Titanus, Mediaset e Taofilm e infine aveva fondato con Carlo Forester l’azienda “Jinglebell” per produrre spot televisivi.
Quel luogo di fermenti musicali, di giovanili passioni, solo un decennio dopo sembrava aver fatto il suo tempo. La capacità attrattiva della fisarmonica sui giovanissimi era lentamente terminata, a favore della più facile ed economica chitarra, con la quale un semplice giro di do permetteva di accompagnare canzoni e serate di gruppo. I più bravi erano passati al pianoforte. La Benizzi aveva allora affiancato alle fisarmoniche la chitarra classica. Nelle grandi aule di via Staurenghi erano passati chitarristi di talento, come Vittorio Salerno, fratello minore dell’attore Enrico Maria Salerno. E tanti altri, prima che a metà anni sessanta sopra l’attuale teatro Santuccio in via Sacco 10 prendesse vita la scuola di chitarra del maestro Massimo Tenzi, dai folti basettoni grigi, dove il lunedi e il giovedi si radunavano centinaia di ragazzi con il manuale Carulli per l’arpeggio e soprattutto con i primi Battisti e Guccini nel cuore.
Ma nel 1962 la Benizzi aveva capito che i tempi erano cambiati. A poco meno di 60 anni era rimasta sola. Aveva allora deciso di chiudere tutto e tornare a Rimini, tornare a casa, insomma. Qui aveva avuto l’occasione di innestarsi su un gruppo musicale già costituito ed era andata a costruire la sua nuova scuola di musica. L’insegnamento era la sua vita. Alle fisarmoniche, che in Romagna hanno sempre avuto storia lunga, aveva poi unito la scuola di pianoforte, di violino, di percussioni e di canto. Si era adeguata ai tempi nuovi: un grande successo. Grande partecipazione e grandi successi di pubblico e di critica. E una attenzione particolare alla scrittura di brani sacri e liturgici e trascrizioni facilitate ad uso scolastico di musiche sinfoniche e operistiche, fino alla sua scomparsa nel 2001 a 93 anni. Il suo “Gruppo corale e strumentale Laura Benizzi”, diretto oggi dal maestro Ceccarelli, rappresenta ancora oggi a Rimini un punto di riferimento musicale di grande prestigio.
E il Comune di Rimini, che per una precisa scelta ha dedicato sempre alle donne numerose vie della città, ha voluto intitolare a Laura Benizzi una strada, tra piazzale Toscanini, vicino al Bagno 81, proprio davanti all’Adriatico. Accanto alle sante Chiara e Aquilina, alle scrittrici Luisa Bergelli e Maria Borgese, alle attrici Giulietta Masina e Eleonora Duse, alle donne della resistenza Irma Bandiera e Iris Versari, alle cantanti Giuseppina Strepponi e Maria Callas, la via Laura Benizzi ha un suo giusto significato. E l’avrebbe, forse, anche a Varese.
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