Chi l’ha conosciuta non la dimenticherà. Luciana Schiroli aveva il dono di entrare con facilità nel cuore di chi l’avvicinava e di rimanerci per sempre. La commozione sincera che ha accompagnato il giorno dell’addio ha rivelato quello che tutti avevamo sempre saputo di lei. A Varese Luciana era presenza nota, perché tanti interessi aveva coltivato , con curiosità intelligente, con passione e serietà professionale. Insegnante amatissima dai suoi allievi, docente per lunghi anni al Daverio, ma anche giornalista, critico d’arte e organizzatrice di eventi, Luciana era un sorridente, palpitante turbine di iniziative, di contatti, di scoperte nate dal suo intuito. Apprezzavamo tutti la sua voglia di vivere, la passione per l’arte e la cultura, la conoscenza e l’attenzione per la sua città, ma soprattutto per le persone che incontrava – e non dimenticava – nei tanti luoghi dove la vita la conduceva. Già sofferente da qualche anno, riusciva ad essere di conforto agli altri, molto attenta ai ben più piccoli problemi di cui veniva interessata. Personalmente ho di lei sempre ricordi gioiosi, di piacevoli incontri. Incrociava le vite dei colleghi della carta stampata nell’armonia serena di Villa Panza, o nella severa pace del castello di Masnago, nel quartiere in cui viveva, e in ogni altra occasione legata all’arte.
Ricordo un paio di spensierati viaggi insieme per visitare due mostre, una a Luino, l’altra a Lugano. Quella volta passammo il confine con la sua macchina piena di pile traballanti di libri – lei solare e scanzonata, sotto lo sguardo severo dei doganieri – un altro segno dell’allegra confusione di una vita ricca, votata al bello. Un’altra volta ricordo di averle chiesto un passaggio, dimenticando che abitasse da tutt’altra parte rispetto a quella in cui mi dirigevo. Insistette però per accompagnarmi, ben contenta di potermi offrire il suo gentile sostegno. Ha detto bene Bambi Lazzati salutandola commossa nella chiesa dei santi Pietro e Paolo in Masnago: Luciana, anzi Lucianina, andava veloce. È vero. Lei era una che andava veloce. Non si faceva pregare, né attendere, quasi il tempo le scorresse troppo in fretta tra le mani. Forse lo presagiva. Eppure, alla sua frenetica attività inframmezzava la disponibilità per gli altri e la capacità di ascoltare, accompagnata dal perenne sorriso, dalla luce degli occhi vivaci di bambina, dalla sua voce chiara di insegnante , abituata a tenere testa con successo, con la complicità della simpatia che usava come arma di conquista, alla fresca vivacità dei giovani allievi. A Villa Recalcati mi informò un giorno della sua malattia e della necessità delle terapie. Doveva combattere, mi disse, per sé e anche per l’amata figlia Grazia. Mi confidò poi di temere di essere dimenticata, perché non riceveva più telefonate da quanti erano soliti cercarla. Ma non era così, prevaleva forse in tanti il timore di disturbarla in momenti in cui si pensa che uno non voglia mostrarsi. Mi preoccupai, da lì in poi, di contattarla più volte tramite telefono e posta elettronica. Se poteva rispondeva, i lunghi silenzi significavano che le incalzanti cure le stavano togliendo il fiato. Poi la si ritrovava, di nuovo in piedi, di nuovo vitale, quasi frizzante e pronta a impegnarsi in qualche evento. E noi ci convincevamo che il guizzo della sua volontà l’avrebbe vinta. Nel 2010 la incontrai a Villa Panza, in occasione dell’inaugurazione di una rassegna dedicata a Rauschenberg. Mi disse che stava preparando una mostra sul tema della rosa alla Torre Colombera e che anche la notte precedente aveva sognato rose. Le pareva quasi che in quel fiore ci fosse un segnale per lei. Mentre osservavamo i quadri c’imbattemmo in un’opera di Rauschenberg che aveva a sua volta come tema la rosa. Ci vide la conferma definitiva di un segnale che la riguardava.
Nel dicembre di quello stesso anno Luciana allestì dunque la sua famosa e bella mostra sulla rosa “La rosa tra figurazione e trasfigurazione” alla Torre Colombera. Coincidenza volle che quella rassegna divenisse omaggio postumo alla memoria dell’amico artista Gianni Robusti, in mostra con una sua opera” Hypocrites 1” ch’era viaggio interiore tra ricerca filosofica e mezzo artistico. Robusti se n’era andato da poco, dopo aver lottato a sua volta contro la malattia, precedendo Luciana la dov’è l’Arte, l’arte prima per eccellenza. Quando Luciana lesse il pezzo scritto per RMFonline mi ringraziò in una mail, dicendosi commossa. Lo fece prima di entrare in ospedale per un nuovo, pesante ciclo di terapia.
Ma c’è un altro ricordo che lega questo nostro giornale a Luciana. Lei venne un pomeriggio da me, non molto tempo dopo la morte di Alma Pizzi, primo direttore di RMFonline: così parlammo anche di Alma, scoprendo insieme sottaciute qualità della collega. Luciana conservava un curioso frammento di vita di Alma che forse nessuno conosceva. Erano state compagne di scuola, mi raccontò, non ricordo bene se alle elementari o nella media inferiore. Essendo Alma di Ghirla e dovendo rimanere a Varese nel pomeriggio, per impegni catechistici, fu accolta a casa di Luciana per il pranzo. Luciana mi ricordò di essere rimasta impressionata dalla determinazione della compagna, ancora bambina. Era la Settimana Santa, il venerdì, e Alma, messo da parte un piatto più gustoso, si raccomandò con la famiglia di Luciana per poter mangiare qualcosa che fosse di magro.
Luciana, che aveva sempre conservato quel ricordo nel suo cuore, me lo trasmise. E io lo affido al nostro giornale, lo trasmetto a voi che ci leggete. Mi sembra un prezioso messaggio. Tanto più che, ancora una volta, la parabola di queste due vite s’incontra, vite intelligenti e determinate, spentesi in piena attività. Come due rose belle e profumate, Alma e Luciana – nomi di luce – hanno chinato le corolle forse troppo presto. Ma certo in tempo per espandere il loro soave profumo, per gettare un seme prezioso, per rivelarci il senso della divina immensità e della gioia della Resurrezione.
L’articolo dedicato alla mostra sulla rosa e al ricordo di Gianni Robusti, che tanto aveva commosso Luciana, chiudeva con le ultime parole del racconto di Rilke dedicato a Paracelso, racconto da lei richiamato in catalogo nella rassegna alla Torre Colombera. Paracelso viene invitato da un giovane, desideroso di provare la propria Fede nel maestro, a dargliene prova concreta resuscitando dalla cenere una rosa. Ma Paracelso non accetta la sfida dell’aspirante discepolo e lo lascia andare. Solo dopo, in silenzio e solitudine, avverrà il miracolo.
“Paracelso rimase solo. Prima di spegnere la lanterna e di sedersi nella poltrona consunta raccolse nell’incavo della mano il piccolo pugno di cenere e disse una parola a bassa voce. La rosa risorse”.
Per te, Luciana.
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