(O) Sicuramente non parliamo di coronavirus, tutti sanno già tutto quel che c’è da sapere e da fare e se non lo fanno non è colpa nostra e, in ogni caso, non abbiamo i mezzi per farglielo fare.
(S) Già dobbiamo invidiare la Cina che sembra pronta a uscirne fuori, meno male, grazie a misure drastiche, applicabili solo in un regime dittatoriale.
(O) Forse non è nemmeno vero questo. L’errore iniziale di sottovalutazione, che ha pure influenzato anche il nostro giudizio, è nato proprio dall’obbligo che ogni dittatura ha di preservare l’immagine della propria onnipotenza, con risultati che sarebbero stati disastrosi in una società aperta. La repressione c’è stata, anche violenta, denunciata da pochi coraggiosi dissidenti, subito repressi ancor più violentemente, nell’apatico disinteresse del cosiddetto Occidente.
(C) Ennesima dimostrazione dello sfondo nichilista della nostra cultura. In realtà il popolo cinese è educato all’obbedienza consapevole da millenni di confucianesimo, ben più che settant’anni di terrore maoista. Chi conosce bene la Cina mi assicura che dopo anni di assolutismo culturale marx-maoista c’è un recupero strumentale del confucianesimo. Credo anzi che non si sia mai perso un fondo di inclinazione dell’animo cinese alla necessità di sacrificare l’individuo al collettivo secondo una prospettiva morale, prima che politica. Ricordo, per quel che può valere come esempio una scena dal film ‘L’ultimo imperatore’ di Bertolucci. L’ex-imperatore Pu YI, nonostante tutte le sue precedenti colpe, viene giudicato dal Partito non meritevole di una condanna a morte, anzi la sua rieducazione dimostrerà la superiorità morale, oltre che politica del sistema comunista. La sua prigionia, per quanto dura, non ha per scopo la punizione, ma la rieducazione. Il funzionario cui viene affidato se ne occupa con spirito confuciano, come dimostra questa scena: chiamato a colloquio per valutare i progressi del percorso rieducativo, il prigioniero si sente dire questo richiamo: “Ti manca solo una cosa per raggiungere il traguardo che ci siamo prefissi: quando di notte, in cella, orini nel secchio, la lasci cadere nel centro del secchio, facendo rumore e disturbando i compagni di cella. Devi invece orinare verso il bordo del secchio, così non fai rumore”.
Ovviamente ignoro l’attendibilità storica del dialogo, ma voglio prestar fede a Bertolucci che ne fa uno snodo del film, da collegarsi all’altra scena, in cui Pu YI, ormai libero e redento, giardiniere e custode dello stesso Palazzo Imperiale, vede questo suo vecchio maestro svillaneggiato e trascinato verso non so quale triste destino da un corteo di ‘guardie rosse’. Non si trattiene dal tentativo di intervenire, dicendo: “Lasciatelo, io lo conosco, è un educatore”. Non viene ascoltato ed è allontanato in malo modo. Naturalmente non vuol dire che oggi tutto il confucianesimo è rivalorizzato, ma solo la disposizione a sottomettere gli interessi particolari a quelli della collettività, come testimoniano tutti quelli che ritornano da un pur breve viaggio in Cina.
(O) L’obbedienza è certamente una virtù e ancor più lo è la capacità di insegnarla, insieme al suo gemello, il rispetto. Non c’è l’una senza l’altro e viceversa. In tutte le cose deplorevoli che abbiamo visto in questi giorni, dall’assalto ai supermercati alla fuga dalle zone arancioni, dalla festa ‘anarchica’ di Saronno nella notte di sabato alla caduta di ogni regola comunitaria, nell’affollarsi al lago o sui Navigli c’è un fondo di incoscienza che è più che non opportunismo o individualismo; non vuoi chiamarlo nichilismo passivo?
(S) Io lo chiamo pura stupidità, come l’affannarsi a difendere il campionato di calcio, sia pure a porte chiuse. Ci si attacca a piccoli piaceri, come a comodità e a consumi quotidiani che non vuoi perdere.
(O) È resistere alla necessità del cambiamento, che non è né deve essere per forza verso un progresso materiale (anche se non mi convince affatto l’ipotesi di ‘decrescita felice’ che ora va tanto di moda tra clima e virus). La saggezza educativa del cristianesimo ci ha dato proprio la quaresima per esercitare non solo la rinuncia a ciò che non è essenziale, ma principalmente per avviarci ad una crescita di consapevolezza, al miglioramento di noi stessi.
(C) Quindi anche in questo momento storico cerchiamo di guardare avanti. Personalmente, ognuno farà una specie di esame di coscienza generale, un po’ più approfondito di quello che facevamo da bambini tutte le sere e che adesso facciamo troppo raramente. Vediamo anche se lo faranno la società civile e le istituzioni. Quanto alla società, con la sbandata presa da famiglia e scuola c’è poco da sperare. Le istituzioni pubbliche e il loro retroterra politico, paradossalmente, potrebbero aver messo a nudo in modo così palese la loro incapacità di affrontare un’emergenza imprevista da aver capito di doversi mettere radicalmente in discussione.
Un primo segnale mi viene da un articoletto sul ‘Corriere’ di Elisabetta Soglio: “Cosa succede se si ferma il Terzo settore in Italia? Ci siamo fatti più volte la domanda, ma solo in modo provocatorio. Adesso però che l’emergenza Coronavirus sta attraversando e sconvolgendo le vite di tutti, il rischio va seriamente valutato. Terzo settore è tante cose: sono le cooperative che fanno servizi nelle mense o nelle biglietterie dei musei; che gestiscono lo sport di base e i centri sportivi; che danno lavoro alle persone svantaggiate; che seguono gli anziani e i bambini dei nidi e della scuola dell’infanzia; che fanno le guide nei musei e lavorano nel mondo della cooperazione internazionale; che aiutano le donne vittime di violenza domestica. Tante cose, tutte indispensabili secondo il principio della sussidiarietà: lo Stato riconosce il valore dei servizi che offrono e insieme si collabora per la gestione del bene comune.
Ma ora? Fermi i servizi, ferme le cooperative … Sostenere chi fa economia sociale e solidale è anche un primo segnale per indicare la via d’uscita da questo tunnel. Coinvolgerli nelle scelte strategiche e di visione sarebbe molto opportuno: perché nel momento in cui la crisi sarà passata bisognerà ricostruire il tessuto sociale del Paese e serviranno l’energia, la passione, la competenza e la capacità solidale di queste cittadine e cittadini. Non lasciamoli soli”.
(O) Come non essere d’accordo? Ma altrettanto necessario è arrivare a coinvolgere tutto il settore educativo, che dispone di una buona legge quadro, quella della scuola paritaria, che ha una precisa consapevolezza del compito educativo e un metodo di autogestione certamente più efficace di quello burocratico dello Stato; manca solo di adeguati finanziamenti. Nella circostanza attuale dovrà essere oggetto di contributi straordinari, esclusivamente per non scomparire; sarebbe dunque il momento propizio per riconoscerne la funzione in via definitiva.
(S) Educazione e sussidiarietà saranno sicuramente le questioni centrali del dopo-epidemia, ma sullo stesso piano metto, per la politica soprattutto, ma pure per la società e il singolo, una comprensione dell’orizzonte spazio-temporale in cui viviamo, come profondamente modificato dalle risorse tecnologiche oggi a nostra disposizione. Due settimane fa parlavamo, un po’ superficialmente di futurologia: se non ne facciamo un vivaio di illusioni, dobbiamo veramente dedicare risorse intellettuali ed economiche a capire che nessuna scelta attuale è neutra rispetto al futuro, anzi, in molti casi, gli effetti che oggi ci attendiamo potranno rivelarsi nel tempo molto più importanti. La crisi climatica ce ne ha già dato un buon esempio, ma sarebbe ancor più grave non prenderne in considerazione gli effetti, proprio se, come sospetto io, le sue cause non fossero principalmente antropiche, cioè determinate da noi, ma di origine naturale, quindi ancora più difficilmente contrastabili. Così come gli effetti nel tempo, occorre considerare quelli nello spazio globalizzato: qualcosa che capita in un punto remoto del globo (remoto per la nostra ignoranza, in realtà nessun luogo è lontano) ha presto effetto universale, vale per le epidemie, vale per le migrazioni, vale per le crisi economiche; oggi, imprevedibilmente è il Libano, domani potrebbe essere un’economia di maggior peso.
Consideriamo proprio la possibilità di un’epidemia devastante come questa, se non di più: è evidente che tutto il mondo si è dimostrato palesemente impreparato a fronteggiarla, per tanti motivi, di cui vorrei evidenziare il principale: l’eccesso di specializzazione di persone e strutture, quindi la mancanza di capacità di adattamento. E non faccio che un cenno allo sfaldamento di tutte le realtà sovranazionali, dalle agenzie specializzate dell’ONU all’UE e soprattutto, (non vi sembri che mescoli sacro e profano, pace e guerra,) alla NATO, principale costruttore di stabilità politica e quindi anche economica e sociale del secolo scorso.
(C) Hai toccato un sacco di temi fondamentali, ma torniamo sempre al punto iniziale: metodo cinese o metodo occidentale?
(O) Non nascondendomi la difficoltà di attuarlo, il metodo occidentale; ben sapendo che nulla di quanto auspicato potrà realizzarsi senza il concorso della Cina e senza che anche in questo immenso spazio economico, politico e demografico (attenti a non dimenticare l’India) ci siano importanti cambiamenti sul piano delle libertà personali e democratiche. Si attendono risultati da Hong Kong e dal Vaticano.
(C) Ma, io insisto, molto dipende da ciascuno di noi, a cominciare da una Quaresima diversa, questa, quando certe rinunce ci sono imposte, ma ci devono dare ugualmente la forza di cambiare, magari non stili di vita, sarebbe una triste variante del solito moralismo, ma la visione del mondo e l’orientamento delle relazioni personali e comunitarie; per usare una definizione che apparirà forte: un rinnovamento della fede è ciò che desideriamo, certi che ci restituirà anche serenità e gioia.
(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante
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