“Se si facessero vedere quelle immagini trasmesse da Formigli, dall’interno dell’ospedale di Cremona, ai dotti medici e sapienti che imperversano nei salotti televisivi, forse tacerebbero per un po’. Ma solo, purtroppo, per un po’”. Questa osservazione indirizzata al Corriere della Sera da una telespettatrice della 7 va, con poche ma incisive parole, al cuore dell’informazione/disinformazione fatta dai media italiani nelle concitate giornate dell’avanzata del coronavirus nel Nord Italia e in molte altre parti del mondo.
La trasmissione, in onda giovedì 5 marzo alle 21.15, è “Piazza pulita” diretta e condotta da Corrado Formigli. Cosa ha fatto di tanto straordinario la redazione? Ha semplicemente cercato – riuscendoci in modo egregio – di tornare a fare televisione, cioè di andare a vedere e documentare ciò che sta accadendo nei reparti di rianimazione dell’ospedale cremonese, prima linea di una guerra senza esclusioni di colpi in corso contro un’epidemia che a giorni alterni, poi addirittura a ore alterne, si è via via trasformata da apocalisse sanitaria in poco più che una banale influenza in un’alternanza di valutazioni, diffuse anche da autorevoli sanitari, che hanno disorientato e allarmato le persone creando panico e confusione.
Il tutto confezionato secondo un copione televisivo ormai egemone da anni: talk show con esperti o presunti tali, spesso “opinionisti” tuttologi in servizio permanente che vanno e vengono a piacimento. Più i soliti collegamenti flash con inviati – poveri loro – dislocati davanti agli ospedali, quasi sempre e giustamente senza alcuna possibilità di accedervi e quindi con meno informazioni di quelle a disposizione dei loro colleghi in studio. Con questo schema semplice e poco costoso, già sperimentato da anni in occasione di terremoti, frane e alluvioni, si “coprono” gli accadimenti reiterandoli all’infinito con ossessiva ripetitività e con l’apporto decisivo degli ormai totalizzanti “social”. Anche quando si sono esauriti da ore. “Spazi – diceva Giorgio Bocca – dove ognuno dice la sua, che sommata alle altre finisce nel pentolone del niente”.
Le stesse rassicurazioni ripetute come un mantra salvifico finiscono in realtà per ottenere l’effetto contrario. Insomma un’alternanza di catastrofismo e di ottimismo orchestrati ad arte per puntare sempre e comunque ad audience e a share sempre più elevati che gonfiano gli introiti pubblicitari. Una scelta abbastanza comprensibile se si tratta di network privati che di quelli unicamente si alimentano, assai meno se fatta anche dalla Rai da sempre comodamente seduta sui morbidi cuscini del canone. Poi, dopo giorni di sempre più stucchevoli spumoni informativi, ecco che la 7 scopre l’uovo di Colombo e ritorna ai fondamentali dell’approfondimento giornalistico televisivo. Ottiene dalla direzione dell’Ospedale di Cremona il permesso di entrare con una troupe e un cronista e di raccontare per immagini, ben girate e altrettanto bene montate, le giornate senza fine di medici, infermieri, personale ausiliario, tutti immersi in tute lunari e alle prese con una malattia con un tasso elevatissimo di contagiosità che obbliga alla rianimazione e alla ventilazione decine e decine di persone per lo più anziane, afflitte da preesistenti patologie, che molto spesso non ce la fanno. Il rischio, ormai più che concreto, è di non riuscire a far fronte con le strutture disponibili e anche con quelle create ex novo alle impellenti necessità.
Un dramma sanitario vero e proprio da affrontare comunque senza isterie ma con un senso di responsabilità individuale e collettivo cui non siamo più abituati. Che questo fosse il vero problema lo si era capito fin dai primi giorni, ma anche questa fondamentale verità era affogata nel “pentolone del niente” dei talk show. Piazza pulita ha invece contribuito a farla riemergere con chiarezza con un reportage verità: secco, stringato, al tempo stesso concreto e misurato. Come se ne vedono pochi ormai nelle prime serate delle televisioni quasi tutte occupate da insulsi giochi, da quiz e insostenibili dibattitti politici.
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