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Spettacoli

DIRE LA VERITÀ

ELENA RONDINI - 06/03/2020

asso“Dire la verità”: questo è il motto del piccolo giornale di provincia, il “Sun-Bulletin” in cui si trova a lavorare Chuck Tatum, protagonista de “L’asso nella manica” (1951), film scritto, diretto e prodotto dal grande regista americano Billy Wilder. È uno straordinario Kirk Douglas a interpretare il personaggio principale, un giornalista appariscente licenziato dalle più grandi testate per la sua condotta senza scrupoli e quindi costretto a scrivere per un onesto editore. Fin dall’inizio è chiaro che Tatum non ha nulla a che spartire con una morale di questo genere, come dice lui stesso in una delle prime battute: “Ci saranno notizie grosse e piccole e, se notizie non ci sono, so lavorare di fantasia”. L’etica guida del Sun-Bulletin è evidentemente per Tatum solo una frase di cui farsi beffe: il film di Wilder è infatti intriso di un pessimismo caustico nei confronti dell’insincerità della cultura americana e dei media.

Dopo un noioso anno relegato in quella piccola redazione, il reporter trova improvvisamente il suo asso nella manica sfruttando la situazione dell’innocente Leo Minosa, che gestisce una tavola calda ad Escudero, un luogo desertico e sperduto nel New Mexico, con la moglie Lorraine. Infatti, mentre Leo è intrappolato in una caverna sotto una montagna, Tatum manipola la donna e lo sceriffo locale per aiutarlo a prolungare il salvataggio da qualche ora a una intera settimana. In questo modo riesce a trasformare l’incidente in una notizia di risonanza nazionale che attirerà i curiosi e che lo renderà ambito da tutti i migliori quotidiani d’America, dando inizio al suo procedere inesorabile verso la conquista di soldi e fama.

Il giornalista viene tratteggiato con durezza da Wilder, che lo eleva a simbolo dell’uomo moderno, cinico e consumato da un’ambizione egoista e immorale per la gloria. Se c’è un momento in cui lo spettatore sfiora l’idea che Tatum possa avere pietà di Leo, è solo il regista che ci illude per poi presentarci la cruda realtà dei fatti. Il reporter non solo non prova alcuna compassione nei confronti dell’uomo incastrato sottoterra, ma addirittura, non soddisfatto del suo dramma, specula ulteriormente sulla vicenda, insinuando nei suoi lettori il dubbio che delle maledizioni infestino la montagna, che forse in passato era stata un antico cimitero indiano. Presto dunque arrivano turisti che si accampano con le loro roulotte e tutti quelli intenzionati a sfruttarli, come venditori di hot dog e zucchero filato e perfino giostre per bambini, che creano un’atmosfera carnevalesca in contrasto con la lenta corsa verso la morte di Leo.

Se da una parte si può dire che il film voglia denunciare un giornalismo marcio ormai contrario al suo ideale di obiettività, dall’altra bisogna notare come Wilder, invece di incolpare esclusivamente Tatum e il suo circo mediatico, sia altrettanto duro con i visitatori che pagano l’ingresso per assistere all’impresa e con la moglie di Leo, a cui interessa solo guadagnare abbastanza per andarsene. Infatti neanche la donna viene risparmiata, in quanto è rappresentata con acidità, priva di alcun tipo di valore, tanto che non solo non ama il marito, ma sembra anche disprezzarlo. Risulta inoltre emblematica la battuta in cui dichiara di non andare mai in chiesa perché inginocchiarsi le rovina le calze. Anche Lorraine è dunque una figura negativa, estremamente egocentrica e incapace di provare solidarietà nei confronti dei suoi simili, come lo è il giornalista, ma più limitata nelle sue ambizioni che sono circoscritte al numero di polpette vendute nel suo locale. Oltre a ciò, in netto anticipo rispetto ai suoi tempi, il regista mostra come il pubblico sia avido di notizie sensazionali e poco veritiere e quindi complice del sistema.

In ultima analisi, “L’asso nella manica” illustra la corruzione umana generale, poiché la maggior parte dei personaggi si lascia soggiogare dal fascino di Tatum, diventando essi stessi meschini. Se al tempo della sua uscita la pellicola non ricevette buona accoglienza né dalla critica né dal pubblico, è forse perché Wilder, al contrario del suo protagonista, decise di “dire la verità” senza compromessi. Oggi invece, in una società in cui tali meccanismi si sono esasperati per effetto della rivoluzione digitale, si può affermare che il film ha mantenuto la sua potenza negli anni, anzi, si è addirittura rivelato profetico nella feroce critica sociale, che verrà ripresa, seppur mascherata coi toni della commedia, anche dai successi più noti del regista.

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