Politici stanchi e stressati? Un film potrà aiutarli a leggersi dentro.
“Alice e il sindaco” è un film francese piacevole e lieve oltre che decisamente istruttivo. Prima che le sale cinematografiche venissero sigillate per il corona virus c’è stato il tempo per vederlo.
Racconta di un politico in crisi a cui viene affiancata una giovane filosofa che ha il compito di individuare per lui qualche nuovo stimolo.
All’inizio il tentativo sembra dare buoni frutti. Purtroppo l’esperienza non durerà a lungo.
La filosofa si chiama Alice: è una giovane precaria dal ricco bagaglio di titoli umanistici, poco utili però per ottenere un’occupazione stabile.
Lavoricchia presso il Comune di Lione quando a un membro del nutrito staff dirigenziale viene in mente di ricorrere a lei, fresca di studi, per sostenere il sindaco che si trova in una conclamata fase di burn out.
La ragazza, catapultata nella segreteria comunale abitata da collaboratori nevrotici che mal la accolgono, conquista a poco a poco un ruolo significativo nelle giornate dello stanco amministratore, stressato dalla girandola convulsa di impegni istituzionali quasi sempre insignificanti.
Che cosa possa fare un’improvvisata filosofa al seguito di un sindaco con trent’anni di incarico alle spalle non è chiaro: Alice legge i discorsi del politico, prende appunti, sottolinea le inevitabili incongruenze, avanza qualche spunto legato all’ecologia. Niente di eccezionale, pensa lo spettatore.
Ciò che Alice suggerisce al politico non sembra particolarmente geniale.
Difficile che il suo intervento riesca a produrre dei cambiamenti reali in quest’uomo di idee socialiste che con gli anni ha lasciato scolorire i suoi valori iniziali.
Colpa anche delle infinite ore trascorse ad annoiarsi mentre si approvano verbose delibere. Lo si vede sbadigliare durante una seduta di consiglio comunale con l’aria stranita di chi si percepisce fuori contesto.
Intorno a lui si agitano una vorace e tirannica Capo gabinetto con una pletora di interlocutori vanesi e loquaci: un team di consiglieri stremati da un insano furore organizzativo che poco produce.
Il regista ci avverte: certa politica corrode, quando non corrompe. Consuma e annacqua i pensieri più nobili rendendo incomprensibile il mondo circostante.
E pensare che una volta, a questo politico, le idee “venivano da sole”. Oggi invece latitano.
La storia di Alice, da cui il sindaco comincia a dipendere, ci comunica che la politica esercitata troppo a lungo riduce i soggetti a vivere in una bolla asfittica dove si viene risucchiati e fagocitati.
Alice, più che una vera filosofa, è una giovane donna che viene “da fuori”; è portatrice di un pensiero non convenzionale, parla il linguaggio di chi vive una vita normale, pensa a una politica non contaminata dalle convenienze.
Peccato che anche lei, la “filosofa”, cominci presto a boccheggiare, a non capire il senso del proprio ruolo dentro il manicomio che sembra essere la gestione amministrativa di Lione, la terza città della Francia.
Ma non è un film sull’antipolitica, anzi.
È un film sulle spire venefiche di un impegno in sé nobile ma che diventa logorante quando si trasforma in una missione esercitata all’infinito.
Il film “Alice e il sindaco” contiene riflessioni preziose per i politici di professione circolanti in Italia, in particolare per coloro che non si ritengono mai sazi di questa esperienza che andrebbe concepita come un servizio alla collettività e non invece come “la” strada per la carriera personale.
Si salverà il Sindaco?
Si salverà la giovane Alice?
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