Studenti universitari e studentati ovvero pensionati studenteschi come si diceva un tempo, a Biumo Inferiore in un futuro prossimo. Così almeno hanno annunciato nei giorni scorsi le cronache quotidiane e i solerti uffici stampa dell’Università dell’Insubria. Un progetto della Giunta Galimberti condiviso con il rettore Angelo Tagliabue e il “sinedrio” dell’ateneo. Meta finale alcuni edifici di proprietà comunale sparsi nel dedalo di viuzze (Frasconi, Nicolini, Walder, Frontini), quelle che nel dopoguerra erano identificate, esagerando è ovvio, come la piccola casbah del quartiere allora popolato da osterie, da commerci di vario genere, da qualche mano lesta di troppo e, soprattutto, non ancora squassato dal devastante Condominio del Sole e da altri palazzi fuori scala fine anni sessanta. Un quartiere vivo e a suo modo pittoresco.
L’ambizione di oggi è di ridare vita a edifici di edilizia popolare, scivolati da decenni nel degrado e nell’abbandono, per poi assegnarli a studenti fuori sede dell’Università, dopo averli corredati di tutto quanto può servire: camere, aule per lo studio, servizi vari, palestra e via elencando. In totale i posti letto disponibili saranno 64: 16 in una corte storica in via Frontini, 48 in via Cairoli grazie alla riconversione degli spazi oggi occupati dai Servizi Educativi. Costo totale del progetto di riconversione edilizia 10 milioni di euro da recuperare partecipando a un bando regionale, finanziato con risorse del Cipe e allestito ad hoc per la riqualificazione di edifici di edilizia pubblica, residenziale e sociale. Incrociamo le dita sperando di avere buona sorte come è accaduto con i 18 milioni del progetto stazioni.
Queste le prospettive, ma almeno qualche considerazione va fatta. Finalmente dopo anni di scelte a senso unico in favore del “campus” di via Ottorino Rossi si inverte la tendenza privilegiando investimenti per creare spazi per gli studenti nel cuore antico della città. Un’ opzione che di fatto interrompe il trend negativo del decentramento da via Ravasi (ex Collegio Sant’Ambrogio) culminato, negli anni scorsi, con il trasferimento anche di due facoltà tradizionali (economia e giurisprudenza) che non necessitavano di particolari laboratori attrezzati e che negli edifici rimasti vuoti sul colle del Montalbano avrebbero trovato spazi sufficienti per le necessità didattiche e anche, forse, per nuovi corsi specialistici complementari. Una quota non irrilevante di studenti sarebbe rimasta in centro animandolo sia dal profilo culturale sia dal profilo commerciale. E ciò ben oltre le presenze legate alle aule di studio, peraltro piccole, oggi disponibili in centro.
Diciamo la verità, alla lunga la scelta del “Campus” esterno ha di fatto precluso a Varese la possibilità di diventare città universitaria modellandosi su esempi, più o meno delle stesse dimensioni, come Pavia, Padova, Verona, Parma e molti altri. Una miopia reiterata negli anni nonostante qualche autorevole voce contraria come quella di Luigi Zanzi, non esattamente un inesperto in materia, avesse sostenuto come parte almeno del patrimonio di grandi ville e grandi parchi cittadini potesse risultare funzionale alle necessità logistiche del nascente ateneo.
A ben guardare più a monte della miopia accademica ce n’è un’altra urbanistica. Quella maturata quando si decise la costruzione del nuovo ospedale. Sul tavolo vi era l’opzione di uno scambio di sedi tra il Circolo (Villa Tamagno) e la nascente Insubria di via Ottorino Rossi cresciuta accanto ai prestigiosi edifici dell’ex Psichiatrico; l’università avrebbe compiuto un bel passo verso il centro città mentre l’Ospedale si sarebbe assicurato spazi liberi per la sua espansione. Non solo, con opportuni interventi viabilistici si sarebbe svincolato dalla morsa del traffico che da sempre lo soffoca e lo condiziona. Non solo, forse anche l’assurdità del Polo materno infantile cresciuto sulle ceneri del Del Ponte nel cuore di Giubiano, uno dei quartieri più caotici di Varese, poteva essere evitata. La politica si schierò compatta contro lo scambio dei sedimi, l’unica voce fuori dal coro, quindi ovviamente inascoltata, fu quella di Giuseppe Adamoli che conosceva il territorio e anche le dinamiche dell’urbanistica. Al netto di queste considerazioni ormai “storiche” ben vengano gli studentati di Biumo Inferiore per rafforzare gli esili legami tra l’ateneo e la città, primi semi di una quanto mai opportuna iniezione di gioventù e di freschezza in un quartiere discretamente logoro e invecchiato.
You must be logged in to post a comment Login