Eppure la regione Emilia-Romagna è ancora lì, non è che sia sparita dalle carte geografiche la mattina del 27 gennaio. Il mercato di Brisighella non è più l’agorà del mondo, ma si tiene ancora, ogni mercoledì. La Ca’ de Be di Bertinoro – la più famosa enoteca della Romagna – non è diventata una nuova White House di dominio celtico, o quasi, ma resta un punto di riferimento per gli indigeni e per chi ricerca l’autenticità della regione.
E non parliamo di Bibbiano…
Il ragionamento vale di più per le opposizioni – per Salvini & C. –, il quale ha accusato il colpo della sconfitta con una certa nonchalance non tanto bene ostentata – che per il candidato, poi premiato, del centrosinistra Stefano Bonaccini, il quale invece in un modo o nell’altro ha ripreso a battere i territori a lui noti. E sempre ben gestiti, a quanto pare. Ma il fatto è che dell’Emilia-Romagna, che pure era – è o sarebbe – la regione locomotiva del Paese non si parla più o si parla poco. Passata la festa, gabbato lo santo: come si dice.
Ogni tanto compare qualche tocco d’arte: per esempio l’annuncio della nomina a vicepresidente della regione, per il centrosinistra, di Elly Schlein, la donna più votata dal popolo emiliano-romagnolo. Si occuperà di welfare, ecologia, forse di turismo e cultura. La Schlein è una tosta, che ci sa fare. L’altra donna, avversaria della Schlein nella recente contesa, la leghista Lucia Borgonzoni, che di norma compariva un passo indietro rispetto a Matteo Salvini come una sorta di “donna dello specchio” di trobadorica memoria, ma che avrebbe dovuto rivoltare come un calzino la regione qualora fosse stata eletta presidente, s’è volatizzata. È tornata a “fare la senatrice” a Palazzo Madama. Probabilmente sì. Mestiere più confacente, certo, ma anche più sicuro dal punto di vista della “stabilità” forse anche economica.
La lezione che se ne trae da questa vicenda, bruciatasi in un paio di mesi, è evidente. E non riguarda solo le promesse – tutte disattese –, al solito, da parte di una pseudo-opposizione caciarona e vociante. Ah se in Romagna non si fossero viste guizzare quelle beneamate sardine dell’Adriatico! Per intanto anche qui la gestione ha ripreso il suo tran-tran quotidiano, tranne qualche colpo di testa o di coda, come quello appunto dell’Elly Schlein.
Catapultando la storia emiliano-romagnola in un ipotetico panorama nazionale il parallelismo che se ne potrebbe ricavare è sempre lo stesso: si parte per fare la rivoluzione, per fare grande l’Italia, e poi tutto – chiunque venisse chiamato o autorizzato – nel giro di poco tempo torna come prima. Nel silenzio generale, dove sopravvive chi – centrodestra o centrosinistra vi sia – si deve alzare ogni mattina per tirare la carretta, e tirare a campare.
Nulla si dice in termini chiari – purtroppo né da una parte né dall’altra – dei cosiddetti problemi strutturali del Paese di cui sempre si vocifera: la riforma della giustizia e della scuola; l’efficienza della Pubblica amministrazione; l’impegno riguardo la produttività (e nella fattispecie le piccole imprese); i temi del lavoro, del rilancio del Sud, dell’occupazione giovanile; il grande tema dell’immigrazione; il nostro rapporto con l’Europa e con l’euro…
Manco un problema risolto o avviato a una chiara soluzione, solo urla, grida, promesse lontane, ipotesi, vaticini. Tutti i lor signori ben saldi – a chiacchiere – a difendere le proprie posizioni di rendita. Il fatto – o il dramma – è che ciò avviene sempre “in nome degli italiani”. Ma di quali non si sa.
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