Israele torna alle urne il prossimo 2 marzo. Non sono bastate due elezioni in un anno, due premier incaricati – – Benyamin Netanyahu e Benny Gantz– per sbloccare la peggiore ‘impasse’ politica nella storia del Paese.
Gerusalemme si prepara con un pizzico di scetticismo a queste nuove decisive elezioni: pochi i manifesti per le strade, scarsi i comizi. La città è invece letteralmente invasa da pellegrini, nonostante siamo in un periodo di bassa stagione. La novità arriva dall’Asia da dove i cristiani provenienti da Filippine,Corea,Cina, Russia stanno soppiantando via via gli europei a ritmi vertiginosi.
La nostra partecipazione a un pellegrinaggio in Terra Santa permette di osservare da vicino questo melting-pot che si arricchisce di nuovi tasselli: la straordinaria commistione di fedi,razze,culture in poche decine di chilometri quadrati assume colori ancora più vivi.
Per baciare il Santo Sepolcro ci vogliono tre ore di coda; al check point di Betlemme lunghe file di pullman si incolonnano in direzione della bella Basilica della Navitita’ ora restaurata, grazie a una impresa italiana.
La questione identitaria religiosa sembra così essere diventata uno dei punti centrali della campagna elettorale. Pur essendo più della metà della popolazione ebraica non praticante,l’instabilità politica favorisce la pressione degli ebrei più ortodossi.
Passeggiando nel quartiere Mea Shearim o in quello adiacente, e un po’ meno tradizionalista di Goula, notiamo gli haredim con giacche, alti cappelli neri e camicie bianche. Lunghi riccioli ai lati, payot, ornano il viso. Le donne dopo il matrimonio, di norma combinato dalle famiglie, devono tenere i capelli interamente coperti se non tagliati. Il loro compito è di garantire la prole.I maschi che studiano tutta la vita la Torah e i testi sacri ricevono dallo Stato un regolare stipendio.
Complessivamente gli ebrei ortodossi superano il 20 per cento della popolazione. Sono divisi in Datiim (13%), che tentano di applicare al mondo moderno le regole della propria tradizione religiosa e gli Haredim (9%) che, al contrario, ritengono il mondo moderno un qualcosa di transitorio. L’unica attività che questi considerano davvero degna è lo studio della Torah portato avanti nelle loro scuole, le Yeshivah.
Il loro atteggiamento nei confronti dello Stato di Israele è ambivalente: a differenza dei Datiim, che sono nazionalisti e che auspicano l’espulsione degli arabi dal Paese, gli Haredim non ritengono che le leggi di uno Stato laico siano compatibili con il loro stile di vita. Questa posizione deriva anche dalla convinzione che, la rinascita di uno Stato ebraico debba coincidere con l’avvento del Messia: tutte le forme politiche sono perciò transitorie. Una posizione rigida che però non ha impedito loro di trovare accordi con il governo: sono una delle pochissime categorie in Israele esentate dal servizio militare.
Il testa a testa tra il blocco di centrodestra di Netanyahu e quello dell’ex-generale Gantz costringe i due leader a cercare alleanze. In entrambe le situazioni risulta decisivo il ruolo della Yisrael Beiteinu, partito di destra nazionalista ma laico guidato da Avigdor Lieberman, che si rifiuta di appoggiare un governo Netanyahu per via della presenza delle formazioni della destra religiosa e vicine alle comunità ultra-ortodosse e per ragioni simmetriche non vota per un ipotetico governo Gantz supportato dai partiti che rappresentano anche gli arabi-israeliani.
Come a dire che la questione del “centro” non passa mai di moda.
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