Ibn Rush (in latino Averroè) nasce a Cordova nel 1126. Si rivela il maggiore esponente della filosofia araba in Occidente nel trionfo dell’aristotelismo. Filosofo, medico, giurista, è giudice a Siviglia e a corte del Califfo almohade di Marrakesh. Accusato di eresia, è costretto ad andare in esilio, venendo però riabilitato poco prima della morte.
È famoso soprattutto per i tre tipi di commento al pensiero dello stagirita così articolati: il Grande Commento, venuto alla luce dopo il 1180, in cui il testo aristotelico è spiegato frase per frase; il Commento medio, in cui il testo è chiarito complessivamente; il Commento piccolo o Parafrasi (1169-1178), in cui ne compare il riassunto. Gli è attribuito anche un Commento alla Repubblica di Platone.
Ancora da ricordare La distruzione della distruzione, in cui difende la filosofia dalle accuse del mistico al Gazali e il Colligeto o libro delle generalità, grande opera di argomento medico.
Ancora più di Avicenna, Averroè si pone in contrasto con le posizioni teologiche musulmane ortodosse. Gli viene attribuita, in merito al problema dei rapporti tra filosofia e religione, la cosiddetta dottrina della doppia verità, che è ben difficile rinvenire in realtà nelle sue opere. Mentre i filosofi raggiungono l’unica verità grazie a rigorose dimostrazioni fondate sul rapporto causale, al tutto necessarie, i teologi discutono su argomenti probabili di tipo dialettico, mentre per lo più gli uomini si attengono ai discorsi esortativi e retorici del Corano.
Di Avicenna è respinta la teoria per cui il mondo deriva da Dio per emanazione; il mondo e la materia pura, indeterminata sono eterni. È pure confutata la psicologia di Avicenna, in quanto difforme dall’insegnamento di Aristotele e insufficiente a spiegare l’universalità della scienza.
In Averroè l’intelletto agente come l’intelletto possibile sono unici, separati dai corpi; coincidono con l’intelligenza motrice della decima sfera: solo questa, immateriale, è immortale, a differenza degli uomini. Si dà conoscenza individuale in quanto le immagini ottenute attraverso i sensi vengonorese intellegibili dall’azione dell’intelletto separato. La scienza, non l’ascesi mistica, ci ricongiunge a Dio.
La stessa verità dunque è compresa a diversi livelli: dei semplici fedeli, le masse, che vivono di sentimenti e di immagini, dei teologi e dei filosofi, che giungono a penetrarne il senso profondo, livelli da tenere rigorosamente distinti, mentre la verità del Corano, guida della saggezza, è rivolta a tutti gli uomini.
Averroè rivendica con forza l’autonomia della ricerca filosofica, che diverrà l’arbitro ultimo dell’interpretazione dei contenuti della fede a livello scientifico. Averroè non accetta la distinzione avicenniana di essenza ed esistenza; la composizione di potenza ed atto è sufficiente a distinguere le creature da Dio, atto puro. Dio non è solo causa motrice, ma anche creatrice; l’universo deriva da lui necessariamente e ab aeterno, senza la mediazione delle intelligenze e delle anime celesti, create una ad una direttamente da lui. La trascendenza e l’unicità non sono solo dell’intelletto attivo (Avicenna), ma anche dell’intelletto passivo e potenziale. I due intelletti dovranno quindi trascendere l’anima dei singoli individui ed essere unici per tutti; la molteplicità individuale deriva dal fatto che la forma è ricevuta nella materia, l’intelletto non è forma nel corpo. Nulla vi è di spirituale nei singoli,né si dà immortalità personale. Immortale è solo l’unico intelletto, attivo e passivo, identico per tutta la specie umana. I due intelletti sono due momenti di un’unica sostanza separata. Onde l’eternità della specie umana e l’eternità della scienza, l’universale validità del sapere.
L’averroismo significò la subordinazione della fede alle verità di ragione. Di fronte all’eternità della materia e del mondo sta l‘unicità dell’intellettopossibile per tutti gli uomini (monopsichismo).
Maggiore fu l’influenza di Averroè presso gli ebrei e il mondo latino (la formazione del movimento si attesta attorno al 1270). Tra i seguaci di rilievo Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia. Le verità razionali si possono porre anche in contrasto con quelle rivelate, senza che ciò comporti comunque la loro invalidazione.
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