-Caro Mauro, quella volta che…
“Caro Massimo, quella volta che mi prese la passione per gli Stati Uniti d’America”
-Passione per la modernità di quel mondo?
“Passione per la qualità d’un suo profilo politico-istituzionale”
-Ovvero?
“Il sistema d’elezione presidenziale”
-Quando scattò il tic d’affezione?
“Quando mio padre portava a casa i giornali del pomeriggio, che allora bruciavano i quotidiani del mattino recando i risultati delle primarie americane. Il Corriere d’Informazione, La Notte, Il Corriere Lombardo…”
-Bruciavano per via del fuso orario…
“Per via di quello. Capitava anche in occasione degli eventi sportivi, ad esempio la boxe. I match finivano che là era notte e qui l’alba. I giornali del mattino non ce la facevano a raccontare l’impresa del Robinson o del La Motta di turno, i loro concorrenti pomeridiani sì”.
-Dunque amore per The President innescato dai giornali…
“Dai giornali sì. Li ho sempre divorati. E ne sono poi stato divorato. Diventando parte del menù quotidiano d’alcuni di essi”.
-Qui di che epoca parliamo?
“Inizio anni Cinquanta. Leggevo dell’efficienza di quel sistema elettivo, del fatto che la durata d’un governo americano corrispondeva a quella di otto governi italiani, di tante personalità d’assoluto livello. E ne fui affascinato. Vi contribuì, è ovvio, anche l’approfondimento tramite libri. Ne ho trecento, sull’argomento”.
-Citiamo il primo…
“Lo scrisse Raymond Cartier, s’intitola ‘Le 48 Americhe’. Il numero fu portato a 50, quando altri due Stati, l’Alaska e le Hawaii, s’aggiunsero agli esistenti. Beh, quel libro è un capolavoro. Difatti l’ho qui davanti mentre chiacchieriamo. Sempre utile riaprirlo e buttarvi l’occhio”.
-Qual è il pregio di questo sistema d’elezione?
“Che è sempre eguale a sé stesso, alle origini. Adottato per via costituzionale, è datato 1787. Subì solo una miglioria funzionale nel 1804, prevedendo un ticket presidente-vicepresidente per chi vincesse. Null’altro di modificato in seguito. Il che la dice lunga sulla sua bontà”.
-Sistema esportabile?
“No. Va bene lì, in uno stato federale di particolari caratteristiche. Non andrebbe bene altrove”.
-Il miglior presidente dall’incipit a oggi?
“Distinguiamo. In politica interna Lyndon Johnson, il successore di Kennedy. Nessuno bravo come lui nel promuovere riforme d’ogni tipo. Purtroppo gli capitò la grana Vietnam, lasciatagli in sciagurata eredità. E ne pagò le conseguenze”.
-Proseguiamo nella selezione…
“In politica estera Richard Nixon, senza discussioni. Gli accordi che, grazie a Kissinger, strinse coi cinesi han cambiato la storia”.
-Altri nomi?
“Un altro nome. Alla fine quello da far prevalere nella valutazione media. Cioè Ronald Reagan. Non gli capitarono imbarazzanti guerre, non dovette affrontare eccessive turbolenze interne, ebbe felici intuizioni economiche. Kissinger diceva: non ti aspetteresti mai cose giuste da uno così. E invece sapeva prendere sempre la decisione acconcia. Fu all’altezza degli ottimati di due secoli prima”
-Quali ottimati?
“Quelli che Thomas Jefferson definì i cinquanta semidei. Una classe di visionari, come si dice oggi, che ebbe cognizione di che cosa si dovesse fare, come e per l’intervento di chi. Era l’aristocrazia agricola d’un Paese, si volse in eccellenza politica e creò un modello istituzionale straordinario. Il tutto nel giro di neppure mezzo secolo, dal 1770 al 1828, quando John Quincy Adams lasciò la Casa Bianca”.
-Degli Stati Uniti sai tutto, ma non ci sei mai andato. Bel paradosso…
“Logica assoluta. Mi piace come si scelgono il loro capo e quant’altro gli ruota attorno per governare la nazione. Non mi piacciono usi e costumi dei governati. Non vivrei mai nella società americana. Tranne forse che in un posto”.
-Quale?
“Omaha, nel Nebraska”.
-Motivo?
“Vi sono nate celebrità come Fred Astaire, Montgomery Clift, Marlon Brando, Gerald Ford e via ecceterando. Non c’è film importante in cui non accada qualcosa a Omaha. E non per caso la spiaggia in Normandia dove avvenne lo sbarco della Seconda guerra mondiale fu chiamata Omaha. Se dovete far nascere un figlio in America, trasferitevi a Omaha per dargli lì i natali”.
-Sugli Usa hai scritto un sacco. Articoli, saggi, libri…
“L’ultimo lavoro è ‘Usa 2020. Tracce storico-politiche i istituzionali’. Sarà presentato il 28 febbraio a Roma, alla Camera dei deputati, Palazzo San Macuto. Ci saranno Giampiero Gramaglia, consigliere per la comunicazione della Fondazione Italia Usa di cui sono presidente. Assieme a lui, Giorgio Dell’Arti, Antonio Di Bella, Cesare Lanza, Enrico Mentana”.
-Una striscia di stelle per la bandiera a stelle e strisce…
“E’ una bandiera che merita”.
-Merita anche Trump?
“La sa sventolare, quella bandiera. Riuscendo a mettersi, per abilità o fortuna, sul filo del vento giusto”.
-Così si vola…
“Così”.
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