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Presente storico

NON RIDURSI A TROMBONI

ENZO R. LAFORGIA - 21/02/2020

palazzoCivico” può essere un numero. Ci sono poi le biblioteche, che spesso sono “civiche”. Ed anche, a volte, qualche museo. Un tempo c’era pure la Guardia “civica” (era l’epoca in cui si esaltavano le virtù “civiche”). Mentre oggi siamo tutelati da un più pacifico Difensore “civico”. E le bande musicali “civiche” hanno sempre qualche trombone. “Civico” pure lui.

Quando si avvicinano le elezioni amministrative, si fa un gran parlare di liste “civiche”. In questo caso l’aggettivo fa riferimento ad una iniziativa politica, espressione di uno specifico territorio, ad opera di un gruppo di cittadini, che evidentemente non si sentono rappresentati dalle forze politiche nazionali.

Ora, il fatto di definirsi in quest’ultimo caso “civici” non significa essere privi di una bussola ideale, di un quadro valoriale, di un progetto di futuro. I movimenti “civici” devono avere un orientamento e coloro i quali vi partecipano devono condividerlo. Altrimenti non sarebbero differenti, questi cosiddetti “movimenti civici”, da una qualsiasi aggregazione sociale come l’associazione degli amici del gomito del tennista o il circolo dei cultori del ginocchio della lavandaia.

Da qualche anno faccio parte del Consiglio comunale della Città di Varese. Vi sono arrivato quale rappresentante di una lista elettorale, che spesso viene definita “civica”. In Consiglio comunale sono uno dei 31 Consiglieri (più il Sindaco). Questi 31 Consiglieri (più il Sindaco) sono espressione di 9 gruppi politici. Alcuni di questi sono diramazione ed espressione di organizzazioni strutturate su scala nazionale; altri, invece, sono indigeni, nati spontaneamente in città. Alcuni sostengono la Giunta, che è al governo cittadino. Questi costituiscono la maggioranza del Consiglio comunale. Altri gruppi politici non vedono l’ora che l’attuale Giunta “vada a casa” o “liberi” i posti “occupati”. Ma, al momento, sono in minoranza.

Pur così divisi, tra una maggioranza ed una minoranza, quando si discute in Consiglio comunale, tutti i suoi rappresentanti sono sempre concordi nella difesa dell’interesse generale. Tutti si dichiarano impegnati per il «Bene della Città» e tutti vorrebbero che la loro città fosse più bella, più pulita, più sicura, più «attrattiva» (nessuno dice più «attraente» e non so perché).

Durante le lunghe e numerosissime ore trascorse in Consiglio comunale e nei lavori delle diverse Commissioni, non ho mai sentito levarsi la voce di chi vorrebbe una città più brutta, più sporca, più insicura o meno attraente (pardon, meno «attrattiva»). Tutti, pur nella variegata articolazione dei diversi gruppi, dedicano tempo, energie e idee per il perseguimento del «Bene della Città».

Ma, evidentemente, se lo scopo ultimo dichiarato è comune a tutti, altre devono essere le ragioni che giustificano una pluralità di forze politiche differenti ed il fatto che alcune di queste siano «maggioranza» ed altre «minoranza».

Da un po’ di tempo a questa parte, sento spesso affermare con orgoglio da parte di esponenti politici ad ogni livello di rappresentanza di non essere «né di destra né di sinistra». Ma affermare la propria identità politica attraverso una negazione, se tende a definire chi non si è o non si vorrebbe essere, non aiuta a capire chi si è o si vorrebbe essere. Questo vezzo nel precisare di non essere «né di destra né di sinistra», lo sentiamo ripetere spesso da forze o esponenti politici che si dichiarano «civici» o espressione della cosiddetta «società civile». Ma, anche in questo caso, rimane l’incognita su chi si è o si vorrebbe essere.

«Non si è mai scritto tanto come oggi contro la tradizionale distinzione fra destra e sinistra, considerata come una distinzione che avrebbe ormai fatto il suo tempo e non avrebbe più alcun senso». Così scriveva Norberto Bobbio in apertura di quel fortunato libretto, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica. Era il lontano 1994 e, dopo il collasso del sistema comunista sovietico; dopo la dissoluzione di quei partiti politici, che avevano costruito la Repubblica democratica; dopo l’affermazione improvvisa di nuove forze politiche, che si presentavano con stili e linguaggi inediti; si sentiva la necessità di verificare la tenuta, l’attualità e il senso di quelle categorie politiche. Ed anche di fare un po’ di chiarezza nella confusione generale di quel momento storico.

Non mi azzarderò qui a riproporre la riflessione del filosofo torinese. Quello che mi preme ribadire è che non può esistere una azione politica che non sia sostenuta dalla visione di un futuro e di una società possibili. Governare e amministrare una città, una regione, uno Stato, significa compiere azioni che orientino la direzione di quel particolare organismo sociale. Di conseguenza, governare significa operare delle scelte. E le scelte non sono mai “indifferenti”. Non sono mai «né di destra né di sinistra», ma corrispondono ad una precisa visione etica, civile, politica. Per intenderci: il movimento di cittadini che rappresento in Consiglio comunale e che spesso e sbrigativamente viene definito “civico”, non potrebbe mai, indifferentemente, appoggiare ora una maggioranza di centrosinistra e domani una di centrodestra. Il tanto ostentato «Bene della Città» ha bisogno di contenuti. Altrimenti i “civici” si riducono a“tromboni”. Come quelli delle bande musicali. Civiche.

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