Il 5 febbraio tra i flash dell’Ansa si è potuto leggere che è arrivata la legge per la lettura e che nasce la città del libro. La notizia riportata ampiamente da tutti i quotidiani sia cartacei sia on line e arricchita da informazioni circa il piano nazionale per la lettura, le nuove politiche relative al limite agli sconti, nonché indicazioni circa l’albo delle librerie di qualità, ha alimentato un discreto dibattito. O meglio un botta e risposta tra gli addetti ai lavori.
Levi dell’Aie ha ripetutamente affermato che la Legge produrrà 75 milioni di euro di perdite per il settore e metterà a rischio 2000 posti lavoro. Di contro i noti editori Alessandro e Giuseppe Laterza sulle pagine di Repubblica hanno scritto una lettera aperta, sostenendo con lucidità di analisi che i supersconti non promuovono la lettura. Per loro (affermazione giusta ma solo parzialmente condivisibile) “Non è il prezzo dei libri che determina il livello di qualità della lettura”.
E da qui dovrebbe partire per tutti i cittadini e non solo per gli addetti ai lavori un vero dibattito. È in gioco la qualità della lettura o il numero dei lettori? Il Dossier n. 1421 del servizio studi del Senato con le disposizioni preparatorie per la Legge, approvata da 234 senatori all’unanimità, riporta in premessa i dati Istat del 2018 sulla lettura in Italia. Una fotografia freddamente impietosa: tra chi si dedica alla lettura, poco meno della metà (il 47,6 per cento) legge al massimo 3 libri all’anno. Leggono più i giovani, le donne e il divario Nord e Sud permane molto forte.
Nella loro analisi i Laterza hanno ben fatto a cogliere i vari aspetti del problema. Ad esempio giustamente hanno ricordato come ciò che rende più bassa la lettura dei libri nel nostro Paese rispetto ad altri Stati europei sono alcuni fattori strutturali tra cui il minore investimento nella scuola e nel sistema, pubblico e privato, della cultura.
Insomma la Legge non è solo un cambiamento per i consumatori, come ha scritto il Sole 24 ore, ma una occasione per valorizzare la circolazione delle idee, di cui i libri, anche nell’era tecnologica, sono uno strumento irrinunciabile. I libri non sono una merce qualunque, le librerie, che da anni lottano contro giganti come Amazon, non sono punti di vendita soggetti soltanto alla legge del mercato ma dovrebbero – come in Francia – fare crescere, insieme con le biblioteche, il territorio circostante.
La Legge, approvata il 5 febbraio con i suoi 13 articoli, merita qualcosa di più di una riflessione economica. In essa si leggono affermazioni dal vero respiro costituzionale, come recita l’articolo 1. La Repubblica sostiene e incentiva la produzione, la conservazione, la circolazione e la fruizione di libri. Lo Stato, le Regioni e gli enti pubblici territoriali contribuiscono all’attuazione di tali principi. Questa è la vera sfida lanciata dalla Legge.
Non è una novità in assoluto se si pensa che già nel 2015 il Centro per il libro e la lettura lanciò un piano nazionale di promozione per la lettura. Ma una legge significa qualcosa di più: un vincolo, un patto sociale, un impegno da condividere e da far vivere, al di là delle parole. Ed è altrettanto significativo come la Legge tenga presente il nucleo familiare economicamente svantaggiato, ricordando la relazione Bes, o meglio gli indicatori del benessere equo e sostenibile. Ci ricorda che la lettura è un fatto culturale e sociale che deve provocare tutti ad una gara al miglioramento.
Ben venga anche la proposta di riconoscimento della città del libro se davvero possa essere uno stimolo a fare conoscere le cosiddette buone pratiche.
L’idea riprende quanto istituito dall’Unesco dal 2001, cioè individuare la capitale mondiale della lettura. Quest’anno, anche se un pochetto dimenticata dai mass media, è Kuala Lumpur con il motto “prendersi cura della lettura”, perché l’attenzione da parte di una città alla lettura significa che la città, o il paese si preoccupa.
Se l’Aie continua a sostenere che con la recente Legge sono i lettori a perdere, forse bisogna pensare che non sia ancora una volta la politica responsabile a perdere. Perché anche attraverso la democrazia letteraria, come ricordava il grande critico e docente Vittorio Spinazzola, morto proprio il 5 febbraio, cresce una democrazia aperta e inclusiva.
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