Mio padre, comandante partigiano, venne imprigionato a Milano, tradotto nel campo di Fossoli di Carpi con un treno partito dal binario 21, e infine deportato nel lager di Mauthausen da cui ebbe la buona sorte, anzi la grazia, di fare ritorno. Un mio zio fu uno dei leader della Resistenza in Piemonte. Uno zio di mia moglie, Antonio Molino, purtroppo invece a Mauthausen morì, e il suo nome è scritto a Milano sulle lapidi dei caduti della Resistenza sia al Cimitero Monumentale che sotto il portico del Palazzo della Ragione. Ho la memoria remota ma indelebile di una notte in cui, bambino di pochissimi anni, nella nostra casa di Varese venni tolto dal mio lettino e messo in quello dei genitori per fare posto a dei misteriosi bambini di passaggio che molto più tardi, a guerra finita, venni a sapere essere bambini di una famiglia ebrea in fuga verso la vicina Svizzera. Dico tutto questo perché diventi ben chiaro quanto sia impossibile accusarmi di non avere le carte in regola per dire qui quello che dirò.
E’ fra l’altro per tali solidi motivi che – osservo qui per inciso — mi viene da ridere, ma poi anche mi cascano un po’ le braccia, vedendo pseudo-partigiani, che quando finì il fascismo non erano nemmeno nati, sfilare al canto di «Bella ciao», inventata come canzone della Resistenza vent’anni dopo la fine della guerra. Tanto più poi quando incitano al disprezzo e all’odio personale contro l’avversario politico, oggi Matteo Salvini e domani chissà; e in nome della democrazia e della libertà sostengono che lo si deve “cancellare”.
Senza ripetere quanto già scritto in precedenza e convinto di dare voce a una sensazione inconfessata ma assai diffusa, osservo che la Giornata della Memoria, celebrata anche in Italia secondo gli stereotipi ormai consueti, sta diventando sempre più stucchevole e perciò anche controproducente. Egemonizzato dalla cultura di sinistra e costruito su misura per quanto accadde altrove ma non in Italia, il modello canonico dell’evento, per così dire il suo «format», presenta le lacune seguenti:
In linea generale:
Ignora il caso dei rom, che furono oggetti di sterminio sistematico non meno degli ebrei, anche se non hanno la forza culturale e la capacità di influenza sociale che occorre per tenerne altrettanto desta la memoria.
Enfatizza il caso di Auschwitz, anche perché a liberarlo il 27 gennaio 1945 fu l’Armata Rossa, fino a lasciare in ombra il fatto che altri lager simili continuarono a funzionare ancora per mesi: Mauthausen, l’ultimo a essere liberato, venne raggiunto dagli americani il successivo 5 maggio. Tanto per fare un esempio tragicamente noto, Anna Frank morì nell’ancora funzionante Bergen-Belsen circa un mese dopo la liberazione di Auschwitz.
Racconta la Shoah come un buio assoluto ignorando il caso dei “Giusti delle Nazioni” ossia di tutti coloro che nel pieno della Shoah con grande rischio personale aiutarono e salvarono ebrei testimoniando così che il bene si riaffaccia anche nei momenti in cui il male sembra trionfare definitivamente.
Nel caso dell’Italia in particolare:
Si ignora un fatto tanto più straordinario considerando che Mussolini era alleato di Hitler, ossia che quasi l’84 per cento degli ebrei italiani sfuggì alla cattura e all’invio nei lager nazisti grazie a un mobilitazione popolare di massa animata e sostenuta dalla Chiesa.
In questo quadro l’indifferenza verso la sorte degli ebrei di cui ora ci si è messi tanto a parlare, si dimostra ipso facto come un atteggiamento nient’affatto predominante nell’Italia di quegli anni.
Non sarebbe ora di liberare finalmente la memoria della Shoah in Italia da tutti questi luoghi comuni e da tutte queste strumentalizzazioni?
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