Lui amava il volo. Trascorreva più tempo in elevazione, al distacco da terra, che a contatto. In ogni partita lui Kobe Bryant campione di tutti i campioni si alzava verso il canestro lasciando ogni parquet per una schiacciata. A canestro o per accompagnare il pallone quasi con una carezza ma sempre staccandosi nettamente dal terreno quasi nemico.
Era una storia immancabile dal fischio di inizio in poi: il campione dei campioni era solito volare.
Cominciò in Italia da ragazzo quando l’amore per il basket trasmessogli dal padre divenne uno sport che doveva poi portarlo a livello insperabile.
Si era, dunque, formato sui vari campi italiani dove man mano chiedevano la sua presenza quasi per vestire una maglia piuttosto che l’altra.
Non solo, dunque, i primi passi in Italia ma un amore per il nostro basket e anche per tutto il suo modo di vivere. Diventando il più cercato dei campioni vincendo medaglie e trofei di ogni genere continuando la serie d’oro anche dopo in America. Al contrario del solito portando in America la sua classe solitamente portata dal basket Usa a quello italico.
Sempre in volo anche all’ultimo respiro quando gli mancò la spinta verso l’alto, gli mancò il pallone da infilare in un inesistente canestro. E al contrario dei suoi voli finì verso il basso. La prima e unica volta.
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