-Caro Mauro, quella volta che…
“Caro Massimo, quella volta che Enrico Maria Salerno decise di far l’attore. A Varese”.
-Come mai a Varese?
“Perché qui abitava lui. E qui Franca Rame. E qui Franca lavorava con la compagnia di famiglia. E qui Enrico Maria s’innamorò di lei”.
-Sul palcoscenico…
“Prima d’apparire sul palcoscenico. Si convinse a salirvi dato che ci saliva lei. Aveva un modo per conquistarla: dimostrare di condividerne la passione, cioè il teatro”.
-Impresa riuscita?
“Fino a un certo punto. Ci fu chi riuscì agli occhi di Franca più ammirabile di Enrico Maria. Era Dario”.
-Dario Fo…
“Appunto”.
-Ciò che indusse Salerno al ritiro amoroso…
“Per quante carinerie avesse potuto esibire, non sarebbe riuscito ad andare al di là del Fo”.
-Parliamo d’un attore più bravo dell’altro. E qui da noi. Roba rara…
“Non alla fine degli anni Quaranta e neppure all’inizio dei Cinquanta. Roba usuale, a quel tempo”.
-Addirittura…
“Come no. Varese aveva una tradizione in materia. E aveva pure un teatro, naturalmente. Poi vennero meno tutt’e due, la tradizione e il teatro. Anzi, prima il teatro e poi la tradizione”.
-L’orribile epoca post bellica…
“Orribile sì. Giù il teatro, via i tram, eliminate le funicolari. Non ci sono parole…”
-I fatti però sì…
“I fatti peggiori degli ultimi decenni”.
-Un teatro dell’assurdo…
“Un amministrare assurdo. Ma teniamo botta a proposito di teatro. Merita il ricordo la figura, immensa, di Gianni Santuccio, anch’egli della partita di Salerno, Rame e soci. Intendendo per partita una genìa di fuoriclasse. Santuccio in giovane età fu il prim’attore del Piccolo di Milano, ideato da Grassi e Strehler. E anche figura di spicco nel cinema. Un esempio: Elio Petri lo scelse nel cast di ‘Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto’ con Gian Maria Volontè. Non so se mi spiego”.
-Ti spieghi benissimo. Ma dove ci sono dei campioni c’è una squadra. Voglio dire: un humus in cui attecchire e che fa germogliare il meglio…
“L’humus era l’ambiente in cui dare ospitalità al gusto della recitazione. C’erano i teatri di periferia, luoghi al tempo stesso dell’apprendimento e dell’esibizione, metaforiche palestre di qualità con istruttori accreditati. E pubblico competente, in grado di giudicare, cioè promuovere o bocciare. Nel Luinese, nella Valtravaglia, altrove: il Varesotto era una fila di sipari. Alzati con regolarità, non tirati su una volta e poi ciao”.
-Seguì il decadimento. Motivo?
“Decadimento di Varese, non del suo intorno. La provincia ha resistito, il capoluogo ha ceduto. E qui ci metto un boh con esclamativo. Forse l’abitudine degli appassionati d’andare a Milano, e anche a Lugano, e chissà dove ancora. Non ho risposte esaustive: ho perplessità e basta, sulla mancata ricostruzione del teatro”.
-Sul valore di questo spicchio di storia dello spettacolo, la certezza invece c’è: prezioso…
“Assolutamente. Ma è un lingotto d’oro di cui nessuno cita ormai più i carati”.
-Ha prevalso la civiltà della bigiotteria…
“Ove per metaforica bigiotteria intendiamo l’incapacità di distinguere e comprendere. Di scegliere e proporre. E ovviamente di ricordare e custodire”.
-Commedia o tragedia?
“Farsa, amico mio. Farsa. Magra, per di più”.
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