Per il post di questa settimana prendo spunti da alcune riflessioni che un grande pensatore brasiliano – Bonaventura Santos da Soa – ha diffuso tra gli amici italiani: si tratta di considerazioni preziose, che ritengo di straordinaria attualità in un presente disorientato che prova a giocarsi un futuro comunque indefinibile.
Se trasformiamo i sentimenti di speranza e paura in sentimenti collettivi, possiamo concludere che forse non c’è mai stata una distribuzione così diseguale di paura e speranza su scala globale. La stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive dominata dalla paura: fame, guerra, violenza, malattie, boss, perdita di lavoro o improbabilità di trovare lavoro, la prossima siccità o la prossima alluvione. Questa paura viene quasi sempre vissuta senza la speranza che si possa fare qualcosa per migliorare le cose.
Questa è la situazione reale in cui si dibatte la società italiana. Eppure, ci si può far ammaliare da visioni che i potenti della terra cercano di accreditare e su cui i populisti si affannano a trovare credito. C’è una piccola parte della popolazione mondiale che vive con una speranza così eccessiva che sembra del tutto impavida. Non teme i nemici perché ritiene che siano stati annullati o disarmati; non teme l’incertezza del futuro perché ha un’assicurazione globale; non teme le insicurezze del suo luogo di residenza perché in qualsiasi momento può trasferirsi in un altro paese o continente (e inizia persino a considerare la possibilità di occupare altri pianeti); non teme la violenza perché ha servizi di sicurezza e sorveglianza: sofisticati allarmi, muri elettrificati, eserciti privati. L’illusione sta nel far credere che anche i più esposti all’insicurezza possano venire inclusi in questa selezionata élite mondiale. Qui sta la fascinazione della narrazione di Trump sui Salvini, gli Orban, le Meloni di ogni paese del mondo.
I lavoratori “accettano” di essere sempre più sfruttati attraverso il lavoro senza diritti; i giovani “autoimprenditori” confondono l’autonomia con l’auto-schiavitù; le popolazioni affrontano pregiudizi razzisti che spesso provengono da coloro che non si considerano razzisti; le donne continuano a essere vittime di violenze di genere, nonostante tutte le vittorie dei movimenti femministi; i non credenti o i credenti di religioni “sbagliate” sono vittime dei peggiori fondamentalismi. A livello politico, la democrazia, concepita come il governo di molti a vantaggio del di molti, tende a diventare il governo di pochi a beneficio di pochi, lo stato di eccezione con impulso fascista si sta infiltrando nella normalità democratica, mentre il sistema giudiziario, concepito come lo stato di diritto per proteggere i deboli contro potere arbitrario dei forti, sta diventando la guerra legale dei potenti contro gli oppressi e dei fascisti contro i democratici.
A mio giudizio è necessario alterare la distribuzione ineguale di paura e speranza. È urgente che le grandi maggioranze abbiano di nuovo qualche speranza e, per questo, è necessario che le piccole minoranze con un eccesso di speranza (perché non temono la resistenza di coloro che hanno solo paura) abbiano di nuovo una paura liberatrice. Perché ciò accada, saranno necessarie molte rotture e lotte nei campi sociale, politico, culturale, epistemologico, soggettivo e intersoggettivo. Questa testata online (RMF) così piena di riflessioni e articolazioni, può essere un luogo dove, indipendentemente dagli esiti dei confronti in corso nello spazio democratico ormai ridotto al tifo di spettatori verso i giocatori sponsorizzati dalle TV e dai quotidiani che puntano alle pance anziché ai cervelli.
La sfida può essere formulata in questo modo: sarà ancora possibile trasformare i diritti umani in uno strumento per trasformare la disperazione in speranza? Sono convinto che si. E che bisogna ripartire dalle sconfitte quando si abbattono e dalle rinascite quando si prospettano: questi sono i tempi che viviamo e di cui portiamo responsabilità, aguzzando la vista verso tempi più lunghi rispetto a quelli cui ci costringono le campagne elettorali.
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