Bonaccini sarebbe un buon segretario del post Pd vagheggiato da Zingaretti. Che vuol cambiare nome al partito, renderlo più liquido/movimentista, arruolare un po’ d’uomini e donne all’affaccio della grande politica. Bonaccini sarebbe, ma non sarà. Resta lì, a Bologna, dove ha salvato dalla catastrofe la sinistra, perché di catastrofe parleremmo se lunedì scorso Salvini avesse potuto citofonare a Giuseppi 2: ‘Dimettiti, e piantala di spacciarti per premier vero’. Però di uno come Bonaccini avrebbe (avrà) bisogno la leadership progressista: umile, tenace, flessibile. Fermo, garbato, inclusivo. Proclive all’empatia e non al contrario. S’innesterebbe nel solco zingarettiano, arando più in profondità il terreno pop. Aspettiamo Bonaccini 2 traslocato a Roma, il giorno in cui Zingaretti 1 passerà il testimone.
Piange il piatto di Salvini, l’Emilia Lomagna: si dice per celia, ma si è fatto sul serio. Il troppo osare del Capitano ha sortito l’effetto opposto: risvegliare il senso identitario (altro che “liberiamo la regione”), muovere dal divano gli astensionisti, riunire i litiganti, perfino turare il naso ai renitenti al voto pro centrosinistra. Vedi dove ti porta il cuore propagandistico, se così pulsante da suonare ai campanelli sbagliati. A latere: il voto in Calabria premia il centrodestra, non altrettanto la Lega, che dalle europee a oggi ha perso il dieci per cento, tallonata dalla Meloni mentre il vecchio Cavaliere elegge una sua candidata triplicando il consenso. Partibus illis, occhio alla concorrenza.
Meritevoli come Bonaccini sono le sardine. Senza di loro le piazze sarebbero rimaste vuote, gli animi freddi, l’indifferenza sovrana, aiutando (per l’appunto) i sovranisti. Invece hanno innescato il miracolo, poiché tale sembra guardando all’indietro: un mese fa la vittoria della Borgonzoni pareva sicura, garantita, irreversibile. Invece, toh. Vuol dire che non è piccolo il mondo fedele a ideali antichi e perciò attuali sempre. Se vuol contendere il primato agli avversari nei prossimi cimenti elettorali (regionali di Liguria, Campania, Veneto, Puglia, Toscana, Marche: e poi magari le politiche), la sinistra nell’Italia ridivenuta bipolare dopo aver nullificato il grillismo deve arruolare il sentiment di quest’onda manifestante. Gente giovane cui s’è accodata gente diversamente giovane.
E Conte? Conte va avanti nel segno del paradosso. La sua maggioranza fa della fragilità una forza pur se la bancarotta dei Cinquestelle creerà gigaproblemi, non sembrando facile l’annunciato rimpasto di governo. Zingaretti pretende un riconoscimento dopo la vittoria di Bonaccini, e Renzi pretende da Zingaretti un riconoscimento all’essenzialità speculativa di Italia Viva. Cogliere lo spirito espresso dalle urne significherebbe andare oltre il gioco chiamato ‘ego della bilancia’, e aprire le porte del palazzo al venticello (se non al vento) rinnovatore che soffia dalla parte antisalviniana del Paese. Però l’operazione esige coraggio, ovvero qualcosa di raro alla latitudine capitolina. A meno che il miracolo non accada anche lì. Bononia docet, ma la repubblica di Banania si renderà permeabile all’insegnamento, cioè espugnabile dal realismo buonsensista?
You must be logged in to post a comment Login