L’idea d’un partito laico d’ispirazione cattolica non è rimasta a dondolarsi sulle onde della vaghezza. L’idea ha trovato consistenza nel recente convegno tenutosi a Roma, Museo dell’arte sanitaria. Forse un caso, forse no. Dato che il luogo potrebbe suggerire l’immagine di un’archistar della chirurgia disponibile a ricucire una ferita data per non più suturabili.
Al dunque. Il 18 gennaio scorso, a ventisei anni dalla liquidazione della Dc e della conseguente nascita del Partito popolare, centocinquanta estimatori dell’una e dell’altro -e in rappresentanza di trentasei associazioni del mondo ex/post scudocrociato- si sono radunati per restituire continuità a ciò che fu interrotto/lacerato. L’appuntamento aveva per titolo “Popolari 101, si riparte?”, ove 101 sta a indicare il periodo di tempo trascorso dallo storico appello di don Sturzo ai “liberi e forti”. A completare la suggestività storico-emotiva dell’evento, la proiezione del video in cui il 18 gennaio 1994 Mino Martinazzoli dichiarava chiusa un’epoca d’eccellenza, durante la quale l’Italia era rinata dalle ceneri belliche, salvo cadere mezzo secolo dopo nella polvere di Tangentopoli.
L’ambizione è di raccogliere quella testimonianza, attualizzarla, darvi seguito secondo le forme oggi consone/necessarie e affidandola a uomini e donne in grado di lasciare un segno non marginale nella contemporaneità politica. Sono quattro i parlamentari che partecipano all’iniziativa (De Poli, Binetti, Sacconi, Rotondi), ma presto il numero potrebbe aumentare, visto l’umor mutevole degl’insediati negli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama. Molto dipenderà dall’esito del congresso programmato tra due mesi e dalle adesioni ottenute durante l’annunciato tour propagandistico in tutte le regioni.
Una pioggia di scetticismo e perfino di sarcasmo ha accompagnato la notizia del convegno e dei suoi propositi, pur se la presenza di Calogero Mannino e Giuseppe Gargani avrebbe dovuto suggerire realistico rispetto. Così come quella, non banale, dei figli d’autorevoli leader Dc, rispondenti al nome di Maria Fida Moro, Stefano Andreotti, Nino Galloni. Nella corsa al centro in cui si sta sprintando a destra e a sinistra (soprattutto a sinistra) ed essendo in fieri una riforma del voto in chiave proporzionale, non si vede perché negare dignità di ruolo a una formazione che pretende a pieno titolo il posizionamento per essa naturale. Non sono gli ex democristiani a volersi appropriare d’una parte che non gli compete, sono invece progressisti, populisti, sovranisti e carrieristi vari a cercare d’impadronirsene. La moderazione come metodo, la solidarietà contro gli egoismi, la necessità di ricercare una sintesi tra interessi spesso contrastanti è roba insegnata da don Sturzo e fatta propria da chi ne continuò l’impegno militando sul medesimo fronte. Dunque, perché non tentare l’avventura d’un nuovo partito di vecchio conio, ora che d’imprese raffazzonate / improbabili alla ricerca d’inedite proposte sono piene le cronache quotidiane del Palazzo?
Come ha detto l’arcivescovo di Milano Mario Delpini nella basilica di Sant’Ambrogio il 6 dicembre scorso: non è necessario essere ottimisti, basta essere fiduciosi. È inutile esercitare una retorica d’auspici velleitari e ingenui, serve dar voce a una visione della persona e della storia che si è configurata nell’umanesimo cristiano. Non calcoli e proiezioni, ma speranza da condividere. È difficile negare che un futuro solido non debba avere radici nel credibile passato d’una reunion cui sarà dato verosimilmente il nome di Partito del Popolo Italiano.
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