«L’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli altri, per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui, caratterizza una tipologia umana piuttosto diffusa e presente in ogni epoca – ha scritto Papa Francesco in un messaggio per la Giornata della Pace -. Tuttavia, ai nostri giorni esso ha superato decisamente l’ambito individuale per assumere una dimensione globale e produrre il fenomeno della “globalizzazione dell’indifferenza”».
La parabola detta “del ricco senza nome” e “del povero Lazzaro” è una di quelle pagine che suscitano in noi comportamenti più umani. Il ricco anonimo si identifica con le sue ricchezze (il denaro è diventato come la seconda natura, una seconda pelle). Il povero ha il nome dell’amico di Gesù, Lazzaro (è un dato eccezionale, fuori della norma, per dire che i poveri sono amici di Dio).
“Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno“. In che cosa consiste il peccato del ricco? Non nella cultura del piacere o negli eccessi della gola. Il suo peccato è l’indifferenza: non un gesto, neanche una briciola, neppure una parola al povero Lazzaro. Il vero contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza, per cui l’altro neppure esiste. Lazzaro è così vicino da inciamparci, e il ricco non se ne accorge… Il male più grande che noi possiamo fare è di non fare il bene.
La società opulenta è insensibile alla miseria causata dalla ingiusta appropriazione dei mezzi di sussistenza; e questo costituisce uno scandalo permanente. L’insegnamento della parabola non si limita però alla sola povertà o ricchezza materiale. Ci sono varie forme di ricchezza, vari modi di sedersi a banchettare dimenticando gli altri. Di quante cose nella Chiesa – anche sul piano morale e spirituale – si può abusare senza pensare alle necessità degli altri!
È un rischio in cui possiamo incorrere proprio tutti, anche chi è materialmente povero. Può sembrare un paradosso, ma la vera povertà si dimostra soltanto nella capacità di attenzione agli altri, nell’amore fraterno: chi è autenticamente povero, sa comprendere, compatire, condividere l’altrui povertà materiale, morale, spirituale.
Ci fa pensare questa testimonianza-provocazione della Santa Madre Teresa di Calcutta: «È facile amare quelli che vivono lontano. Non sempre lo è amare quelli che ci vivono accanto. È più facile offrire un piatto di riso per saziare la fame di un bisognoso che confortare la solitudine e l’angoscia di uno che non si sente amato nel focolare che condividiamo con lui. Dobbiamo amare quelli che sono più vicini a noi, nella nostra stessa famiglia. Di lì l’amore si diffonde verso gli altri, offrendo loro il nostro servizio».
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