I Promessi Sposi sono stati definiti il primo, vero, grande romanzo storico della nuova Italia, fortemente impegnata nella sua ricerca di identità politica, storica, letteraria, umana, sociale e culturale. Un’Italia che prende coscienza di sé e che affida alla sua gente il prezioso messaggio dell’unità nazionale.
Un nuovo mondo si raccoglie e si riconosce in una millenaria tradizione, evocata per dimostrare che l’aspirazione alla libertà è legittima e che il prezzo che si deve pagare rientra nella sfera dei doveri umani, gli unici in grado di restituire dignità a chi ne è stato privato.
Il popolo manzoniano dei Promessi Sposi si muove in mezzo a mille difficoltà, ma si muove. Tra sopraffazioni, violenze, prevaricazioni, guerre, pestilenze e arroganze di ogni genere, il sentimento si fa strada, sorprende per la sua genuina freschezza e per la sua innata determinazione. C’è un aspetto del problema che merita un’attenta osservazione, perché ci introduce nel punto nevralgico della storia italiana, quello educativo e formativo.
La pedagogia evocata dal grande scrittore lombardo, passando attraverso la storia e la letteratura, forma l’uomo nuovo, colui al quale viene affidato il compito pratico di costruirne l’identità. Pur in condizioni storiche del tutto diverse, non siamo molto distanti dalle necessità della società attuale, disorientata e confusa, incapace di fornire modelli affidabili, preda di diverse forme di schiavitù, una società che ha perso per strada la capacità di vivere i grandi ideali della storia. Dipendenza, strumentalizzazione e demagogia, falsità e ipocrisia, brama di possesso, ricerca del piacere fine a se stesso, esaltazione del successo, sono i demoni che caratterizzano una società decadente, che ha costruito forme di capitalismo esasperato, alimentando la frantumazione di quei valori che ci hanno permesso di essere amati e rispettati nel mondo.
I Promessi Sposi indicano una via che potrebbe essere percorribile e che potrebbe fornire validi strumenti di riappropriazione e di rinascita morale, quella che si lega indissolubilmente ai grandi valori cristiani, gli unici in grado, forse, di sostanziare la ricchezza di un popolo geniale e costruttivo, portato in certi casi a estremizzare la propria libertà, fino a farla diventare un bene personale, facilmente addomesticabile.
Ripartire significa giocarsi la credibilità con l’esempio, un prezzo molto alto da pagare, ma l’unico che possa restituire il senso della trasparenza e della moralità alle giovani generazioni, quelle più esposte alla decadenza. Ritrovare i valori cristiani non significa diventare schiavi della chiesa o peggio retrocedere su posizioni oscurantiste e medievaleggianti, ma capire che possono essere ancora oggi i pilastri sui quali ricostruire la nostra identità, la nostra storia personale, non finalizzata all’abito firmato acquistato in una boutique del centro, ma alla certezza e consapevolezza di scelte fondamentali per la vita dei singoli e della collettività.
Padre Cristoforo e l’Innominato ci dimostrano chiaramente quanto sia labile la condizione umana e quanto sia bello riconquistarsi, ritrovando in vesti nuove un’accettabile forma di vita, proiettata verso finalità degne di essere vissute.
Il problema di Manzoni è proprio quello di dare un senso all’esistenza, di dimostrare che la vita è bella anche quando è destinata a lottare per affermarsi. In questo generale risveglio di coscienze sta l’opera dello scrittore lombardo, preoccupato di una unità che non sia soltanto delegata alla forza delle armi, ma alla convinzione di avere un’identità e di affermarla per il bene del paese. Uno dei meriti del romanzo è stato quello di incarnare il nuovo attraverso l’opera intellettuale e morale dei suoi figli, proiettati al recupero della storia italiana.
Nel mezzo di una grande confusione di popoli e di lingue, di leggi e di valori, il Gran Lombardo è riuscito a dimostrare che il cambiamento è sempre possibile, anche quando le condizioni politiche, istituzionali e culturali sembrano confermare il contrario.
La garanzia della libertà di un paese nasce dalla consapevolezza che tutte le forze in campo debbano dare il loro contributo. Sul fronte dell’unità, nel romanzo, vediamo schierati gl’intellettuali e il popolo. Cultura popolare e cultura pedagogico letteraria s’incontrano per dare vita alla cultura della liberazione e della ricostruzione. Valori di civiltà si fondono insieme per formare le coscienze di un popolo che anela all’affrancamento dalla schiavitù materiale, morale, politica e militare.
L’intuizione manzoniana è un grande insegnamento per la storia italiana attuale, dominata dalla frammentazione, dalla confusione, dalla preponderanza dell’interesse privato rispetto a quello pubblico.
Viviamo in un sistema popolato da un associazionismo esasperato, che impedisce di vedere i problemi nella loro dimensione globale. L’effetto di questa frammentazione è l’ingovernabilità, la perdita graduale di quei valori che hanno fatto grande la storia del nostro paese.
Ecco dunque l’insegnamento: partire dalla comune volontà che la svolta sia possibile soltanto se il popolo saprà riunire le sue risorse e i suoi talenti, mettendoli al servizio del paese. Superare una visione individualistica ed egoistica della storia, per concorrere a ricomporre pezzi di civiltà gettati in pasto ad un terribile vuoto esistenziale, potrebbe essere l’imperativo categorico del nostro tempo.
Manzoni ci induce a riflettere sull’importanza dell’opera letteraria in un periodo di decadenza morale. Il richiamo alle origini, alla sensibilità umana e letteraria, al valore epico della poesia e del racconto, il desiderio di ritornare al pensiero come forma d’indagine e di rinnovamento, definisce la saggezza di un autore che scrive sfidando il pericolo per finalizzare la sua intelligenza e la sua opera alla costruzione dell’unità del paese. Lottare per la libertà e per la difesa di valori fondamentali come patria, vita, famiglia significa rendere una grande testimonianza di fede e di saggezza, amare svisceratamente la propria storia per rafforzare l’intesa con quella presente e quella futura.
Viene da domandarsi cosa avrebbe pensato e fatto Manzoni di fronte ai grandi problemi del nostro tempo, in particolare a quelli legati alla giustizia, alla corruzione, alla inaffidabilità della politica, alla spregiudicatezza di un linguaggio che scade sistematicamente nell’offesa e nell’oltraggio, al tema di un’immigrazione spesso disperata, privata di logiche organizzative comuni, lasciata spesso al caso o al volontario di turno. Certamente avrebbe dato fiato alla sua pedagogia della ricostruzione, mettendo in campo i valori di una Provvidenza che non abbandona mai chi la cerca per convertirsi e riconvertire. Avrebbe sicuramente lottato per difendere i più deboli, per dare voce a chi ne è stato privato.
Un Manzoni di sicuro più rivoluzionario, meno ancorato alla conservazione dottrinale, più attento al sistema dell’educazione e a quello della formazione. Avrebbe sicuramente difeso una italianità più consapevole, più attenta ai problemi degli altri, meno rintanata nelle sue nicchie, nel suo perbenismo, nella realizzazione dell’interesse personale. Sarebbe stato un Manzoni prima maniera, meno cattolico e più laico, meno vincolato ai timori prudenziali della sua fede, più esposto sul fronte della riunificazione morale.
Manzoni ci ha insegnato a non avere paura di coloro che attentano quotidianamente la nostra dignità e la nostra integrità. Lo avrebbe fatto anche oggi in nome di un’Italia libera da qualsiasi sorta d’iniquità
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