«La misericordia vive di tre movimenti simultanei: quello degli occhi, quello delle viscere e quello delle mani-mente-gambe.
Il misericordioso è prima di tutto qualcuno/a capace di vedere più in profondità. La prima misericordia è uno sguardo, che ricostruisce dentro la persona misericordiosa la figura morale e spirituale di chi le suscita misericordia.
Per “prendersi cura di un altro”, basta guardarlo e vederlo diversamente. C’è un “non ancora” oltre il “già” e il “già stato” che appare a tutti. Infatti prima di essere un’azione etica, la misericordia è un moto dell’anima, con cui riesco a rivedere l’altro nel suo disegno originale, prima dell’errore e della caduta, e lo amo al fine di ricrearlo alla sua natura più vera.
Così si ricostruisce dentro l’anima l’immagine spezzata e si ricompone la trama interrotta. C’è nella fede della Chiesa una solidarietà inter-umana più profonda e vera di qualsiasi delitto.
E mentre legge la purezza nell’impurità, la bellezza nella bruttezza, la luce dentro il buio, si muove anche il corpo, si toccano le carni. Si commuovono le viscere. La misericordia è un’esperienza totale: qualcosa di simile al parto di una nuova creatura.
Infatti si sente dentro, si patisce nel profondo, c’è travaglio. Per questa ragione chi conosce la misericordia conosce anche lo sdegno. La misericordia è un intreccio di dono e virtù. La capacità di vedere quella parte viva del cuore dell’altro che resta immacolato anche dopo il crimine più efferato, non è frutto del nostro impegno. È tutta gratuità. È dono ricevuto dalla vita, dalla nostra famiglia e dall’educazione nell’infanzia e nella giovinezza.
La misericordia, però, ha bisogno anche dell’impegno e della virtù, quando visto dentro l’anima e ascoltate le proprie viscere, “decidiamo” liberamente che deve iniziare il tempo del fare, del movimento delle gambe, delle mani, della mente.
La virtù e l’impegno, che vengono sempre dopo il dono del “cuore di carne” e di “occhi di resurrezione”, sono necessari poi per cercare di conservare e potenziare nel corso della vita quello sguardo, che tende ad appannarsi con il trascorrere degli anni…
«Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri che nei turbamenti e nelle guerre pagano di più e soffrono di più; noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Vuole farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se siamo malati di cattiveria, fuori strada, abbiamo un titolo di più per essere amati da Dio» (Giovanni Paolo I).
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