Sono sei le date che hanno indelebilmente segnato il passaggio di Fausto Coppi (morto sessant’anni fa) da Varese. La prima firma, del tutto inattesa, la mise sulla Tre Valli il 13 agosto 1939, a meno di un mese dai mondiali varesini dei primi di settembre poi cancellati dall’inizio della seconda Guerra mondiale. Quella gara in due prove (dilettanti e professionisti) più una prova libera per indipendenti, assegnava le maglie tricolori e scandiva l’avvicinamento alla scadenza iridata. Tra gli indipendenti ma aggregato alla Legnano di Eberardo Pavesi – ospitata all’Hotel Rosa Ticino di via Veneto demolito nei ’60 per far posto a un nascente grande magazzino – vi era un ragazzo sconosciuto, alto, magro e dalle gambe lunghissime. Nelle lunghe ore della vigilia si era molto interessato al negozio di biciclette Ganna, con ingresso accanto all’albergo, di Lorenzo Bronzi, zio del futuro sindaco di Varese, Luciano. In particolare, si era soffermato su alcuni palmer appesi a una parete. Colpito dalla ritrosia e dalla timidezza del ragazzo, il signor Lorenzo forse per incoraggiarlo gli disse: “Se domani vinci nella tua categoria ti regalo un palmer”. Fausto lo prese in parola. Il giorno dopo all’ultimo giro del lungo circuito approntato per i mondiali (Varese –Brinzio – Rancio – Grantola – Ghirla –Varese) sulla salita di S. Ambrogio prese il largo con altri due compagni che si arresero al suo ritmo sulla successiva Grantola. In vetta urlarono a Fausto che i due, stroncati dalla sua azione elegante e poderosa, erano a più di tre minuti. I chilometri che lo dividevano dal traguardo li corse come una cronometro, spingendo al massimo senza una pedalata a vuoto. Al traguardo di viale Ippodromo, teso dietro le tribune, il suo vantaggio era salito a 6’,42”, un abisso scavato in pochi chilometri. Quando rientrò in albergo si accorse che il negozio Bronzi era ormai chiuso. Non si perse d’animo, qualcuno gli indicò l’appartamento accanto all’hotel Rosa dove abitava la famiglia del meccanico ciclista, salì le scale e suonò il campanello. Quando se lo trovò davanti il signor Lorenzo si ricordò della promessa. Scesero in negozio e gli regalò un palmer di quelli buoni, stagionato al punto giusto. Quel ragazzo timido, sbocciato nel limbo degli indipendenti dove già si era messo in luce in Piemonte senza tuttavia vincere, uella incredibileera Fausto Coppi, il futuro campionissimo.
Due anni dopo (1941), ormai campione consacrato dalla vittoria al Giro d’Italia del ’40 e di alcune classiche in linea, conquistò la Tre Valli con un’impresa costruita sulle arcigne rampe di Viggiù scattando a ben sessanta chilometri dall’arrivo. Una cavalcata ciclistica trionfale conclusa sulla pista dello stadio Littorio, oggi Franco Ossola. A tre minuti Bizzi e Bartali che ormai soffriva la concorrenza del ragazzo di Castellania. Bisognerà attendere sette lunghi anni, segnati dalla guerra e dalla sua prigionia in Africa, per rivederlo vincitore a Varese. Accadde l’8 agosto 1948 al termine di una lunga e combattutissima volata in un’edizione della Tre Valli considerata la più appassionante di sempre. In viale Ippodromo prevalse Coppi di poco meno di mezza ruota su quello che era diventato il suo grande rivale, Gino Bartali, fresco trionfatore, per la seconda volta in carriera, al Tour de France. Quella incredibile Tre Valli nobilitata dalla presenza di quasi 500 mila spettatori, inasprì ancora di più la rivalità tra i due fuoriclasse italiani al punto che nei mondiali settembrini di Valkenburg, in Belgio, si controllarono a vicenda per tutta la gara scivolando nelle ultime posizioni, fino all’avvilente ritiro. Un puntiglio degno di due primedonne del Varietà che costò loro un mese di squalifica.
Nel ‘1951 (1° e 2 settembre) Varese ritrovò i mondiali sfumati nel ’39 su un tracciato ritagliato tra la Valcuvia e la Valganna con epicentro le Bettole, l’ippodromo della città giardino al cui interno Togn Ambrosetti, geniale organizzatore dell’evento, aveva fatto tracciare il rettilineo d’arrivo. Coppi, attesissimo dai suoi tifosi, diede forfait alla vigilia, per un improvviso quanto chiacchierato attacco febbrile, scatenando polemiche senza fine. L’iride varesino lo colse il fuoriclasse elvetico Ferdy Kùbler che beffò con un volata irresistibile la bellezza di tre italiani: Fiorenzo Magni, Toni Bevilacqua e Giuseppe Minardi detto Pipazza per via di un profilo non esattamente apollineo. Nei primi anni ’50 Varese e il suo lago entrarono nella vita del campionissimo non per ragioni ciclistiche ma per la clamorosa love story con Giulia Occhini Locatelli, la moglie del medico condotto di Varano Borghi. Su questa vicenda che spaccò in due l’opinione pubblica italiana ha scritto un bellissimo libro “Giulia e Fausto” la giornalista Rai Alessandra De Stefano.
La città giardino riabbraccerà Coppi il 2 ottobre 1955 per l’unica Tre Valli disputata a cronometro e nella circostanza ultima prova valida per l’assegnazione del titolo di campione d’Italia che già era stato suo per tre volte. Sullo stesso circuito dei mondiali ’51 – percorso però in senso inverso – e sulla proibitiva distanza di 100 chilometri stracciò la concorrenza con una prestazione principesca. Si salvò solo Aldo Moser, il primo della dinastia di Palù di Giovo, che chiuse a 2’,45”. Lo ricordo sorridente il campionissimo, in maglia tricolore per la quarta volta, lasciare l’Ippodromo a bordo dell’ammiraglia della Bianchi inseguita dai suoi tifosi in delirio.
Tornò per l’ultima volta a Varese per la Tre Valli dell’agosto ’58, dopo l’ennesimo periodo di guai fisici, per meritarsi una maglia azzurra in vista dei mondiali di Reims. Durante la punzonatura, nel parco del Burrificio Prealpi in viale Borri, ebbi la fortuna di poterlo accostare. Ero un ragazzino che dimostrava qualche anno in più. Vincendo la timidezza gli chiesi quale fosse il suo obiettivo per il giorno seguente. Mi rispose: “Non posso più sperare di vincere, mi basta fare bella figura perché voglio correre l’ultimo campionato del mondo della mia carriera, la salute c’è ma non ho più molta potenza nelle gambe”. Fu settimo dopo una gara da protagonista che gli valse il mondiale francese di Reims poi vinto da Ercole Baldini. Nessuno poteva immaginare che quindici mesi più tardi, il 2 gennaio 1960, si sarebbe congedato dalla vita. Una morte assurda per malaria non identificata dai sanitari, gli incredibili funerali sulla collina di Castellania tra i campi striati di neve, il dilatarsi senza fine della sua leggenda nel tempo. Un fenomeno il suo difficile da spiegare con le categorie della razionalità. Coppi fu un unicum, non aveva riferimenti nel passato, non ebbe eredi nel futuro che seguì la sua fine.
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